Fuga dal Castello

Role Rilevante

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  1. Evie
     
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    Lana;
    Nel silenzio della sua stanza, Lana potè concentrarsi sui suoni circostanti più impercettibili: lo zampettare dei topi sul pavimento, un'insetto che ronzava attorno al candelabro, voci sommesse nelle camere adiacenti... e poi, all'esterno, i passi strascicati degli Akei'viel.
    Non si allontanavano mai dalla tenuta del loro Signore, ma ultimamente erano fin troppo protettivi. Sapeva che se si fosse affacciata ne avrebbe trovati tre proprio sotto la sua finestra, e si ritrasse verso il fondo del letto per sottrarsi al puzzo di cadavere che emanavano.
    Quel semplice gesto le costò molta fatica, poichè la notte prima il Padrone si era cibato di lei, lasciandole quel poco che bastava a mantenerla in vita. Anche le movenze più semplici erano un supplizio per Lana, che era stata riportata nella sua stanza all'alba e non aveva più avuto la forza di rialzarsi.
    I punti in cui i denti di Caesar le avevano lacerato la carne dolevano terribilmente, come acido che corrodeva la pelle. La Ninfa chiuse gli occhi e cercò di deviare i suoi pensieri altrove, oltre le mura di quel castello diroccato tra le montagne, ma i suoni erano troppo distanti, troppo fievoli. Finchè non udì il vento.
    Una sferzata aveva appena mosso l'aria stagnante dell'edificio al piano di sotto, portando tutti i profumi del bosco e dissipando il tanfo di morte.
    - Impossibile - pensò Lana, - il castello è completamente sigillato -.
    Doveva essersi rotta una finestra, oppure... No, quel cigolìo era senz'altro del portone d'ingresso.
    Forse avevano visite? Chi mai poteva essere così stolto da presentarsi al cospetto del suo Padrone passando dall'ingresso principale?
    Quando un ringhio animalesco riecheggiò nel silenzio, Lana capì: uno dei seguaci aveva fame, e stava cercando lei.
    Afferrò l'arco e la faretra nascosti sotto al letto, ma non appena tentò di incoccare una freccia, quella le cadde in grembo.
    Non aveva il minimo controllo sui suoi arti, praticamente insensibili. Si strinse nella coperta e trattenne il respiro, concentrandosi sui movimenti della creatura. Era lenta, insicura, come se qualcosa frenasse il suo istinto, e non era sola.
    Altri passi, più distanti e veloci, venivano nella sua direzione.
     
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  2. Draghoradrim
     
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    louisien1_zpsdc1d5aa4
    Lousien;
    Arrivare alle Montagne non era stato uno scherzo, e sebbene Lousien lo avesse sempre saputo, non si aspettava di certo un'arrampicata così ardua e tanti piccoli fastidi dovuti alla scarsa collaborazione e ala poca fiducia degli abitanti, non solo nani, ma anche umani. Era proprio vero che la gente viene forgiata dall'ambiente inc ui nasce e cresce.
    Lei non era stata diversa. Cresciuta per la maggior parte dle tempo con un guerriero come padre adottivo, e poi con dei cacciatori di mostri come compagni d'arme, era schietta e tagliente come le sue frecce e i suoi pugnali, incattivita dall'odio come tutti i precedenti cacciatori di cui portava i ricordi sulla pelle, sotto i vestiti.
    Superata l'ennesima pietraia, voltò verso sinistra, mentre la vista, prima fissata sulla valle sottostante, si pariva su una sorta di conca nascosta fino ad allora dalla conformazione stessa della montagna.
    Il suo obbiettivo.
    La tenuta di Caesar.
    Era un askei'viel schivo, furbo, uno di quelli che lascia poche tracce ma il suo nome, anche tra la sua razza immonda, era sinonimo di pericolo e intelligenza malsana.
    Nessuna informazione poteva ricondurre alla sua vera età, ma si sapeva che era una sorta di nobile, amava circondarsi di suoi simili, sebbene preferisse quelli che per motivi vari erano rimasti poco più che bestie, meri cani da guardia della sua tenuta sperduta nelle montagne, al sicuro da occhi indiscreti.
    Ma chiunque sbaglia, e l'organizzaizone aveva trovato le sue tracce, e aveva mandato lei.
    Il compito era facile, entrare, uccidere, andarsene. In teoria era facile, ma il maniero che c'era di fronte a lei, a un chilometro circa in linea di aria, sembrava una rocca inespugnabile anche in quel mite autunno. Mentre cautamente si avvicinava, vide del trambusto al portone di ingresso, probabimente un ospite o altro stava andandosene, e infatti poco dopo due figure ammantate di nero nella tenue luce dell'alba che stava per sopraggiungere uscirono dal castello e si incamminarono per il sentiero che li avrebbe condotti a valle.
    Il mostro sulla porta stava chiudendola, quando per caso un raggio di sole, uno dei primi probabilmente, non illuminò la sua zona, e lui arretrò spaventato, lasciando incustodito il portone, quasi del tutto chiuso, ma non chiuso.
    La fortuna aiuta gli audaci... pensò sorridendo e avviandosi il più velocemente possibile verso l'entrata, rimanendo non sulla via ma nelle piante accanto, nascosta alla vista.
    Sbirciò dalla fessura del portone, non più di un palmo di apertura, ma abbastanza per notare come con l'arrivo del sole tutti i mostri, intelligenti o meno, si erano defilati, lasciando la magione incustodita, sicuri della robustezza delle mura e del portone, cosa altresì vera se avessero davvero chiuso il pesante legno che dai segni arcani che lo ricoprivano non era solo una apertura al mondo esterno, ma qualcosa di altro che non voleva di certo scoprire.
    Inspirò e si gettò all'interno, per poi riaccostare il portone così che a una prima occhiata sembrasse chiuso. Si mosse guardinga, evitando ogni porta, ogni corridoio che le portava anche il più debole dei rumori, ma ad un certo punto, al primo piano, si trovò di fronte a un problema. Vide due esseri deformi, grottesche parodie di umani pallidi e smunti, dall'andatura balzellante, quasi ridicoli se non fossero stati letali, portare di peso una ragazza, minuta e apparentemente molto pallida e sulla ventina di anni, vestita in modo bizzarro, con un vestito di pelle e delle corna posticce che la facevano assomigliare a certi esseri mitologici, in una stanza, per poi andarsene grugnendo tra di loro.
    Maledizione. E adesso. Non credo che sia un mostro, e non posso lasciarla qui, anche se la mia missione è trovare e uccidere. Ma se non la salvassi sarei al loro livello. Sbuffò mentre pensava al da farsi, per poi prendere una decisione. Prima Caesar, poi lei.
    Si mosse e percorse solo un paio di metri, prima di doversi infilare in un passaggio laterale del corridoio mentre un altro essere, probabilmente un po' più intelligente di quelli che aveva visto prima, passò nel corridoio. Camminava in modo strascicato, mormorando frasi senza senso, ma una fece rabbrividire la cacciatrice.
    Fame, cibo, corna fresche non mi piacciono per nulla dette da una bestia assetata di sangue.
    L'essere era quasi arrivato davanti alla porta della stanza dove c'era la ragazzina.
    Doveva agire, e subito.
    Estrasse le lame, doveva fare un lavoro pulito e veloce, e anche se odiava ammetterlo, le lame in un corridoio erano decidamente meglio dell'arco.
    Con passo veloce e leggero corse con tutte le sue forze verso il mostro, che si bloccò nel sentirla e si voltò mostrando un volto deformato dalla fame e dalla collera.
    allungò le mani artigliate per afferrarla mentre lei scivolò sul pavimento appositamente, così che la schiena percorse alcuni metri e le permise di passare sotto di lui, le gambe, che aveva le gambe spalancate per poterla attaccare meglio.
    Grave errore! pensò mentre allungava le lame passando sotto di lui e squrciando la parte inferiore del mostro con il metallo.
    Si fermò un metro dopo, balzando in piedi e colpendo al collo e alla fronte l'essere, reso muto dal dolore, le mani a tenersi la ferita, profonda e che avrebbe ucciso all'istante un normale essere.
    Ma le due ferite successive furono fatali, facendolo accasciare al suolo.
    Nemmeno un rumore. E nessun sangue. Era proprio secco lo schifoso. Bene, sono fortunata per adesso.
    Tendendo l'orecchio alla prta non udì nessun rumore, e con circospezione, un coltello nella mano destra e l'altro infilato nel fodero, afferrò la maniglia e tentò di aprirla, sentendo uno scatto, come se la serratura si aprisse in automatico dall'esterno.
    Inspirò profondamente e aprì la porta, pronta a tutto, ma quello che vide non era ciò che si aspettava.
    La stanza era un incrocio tra una spoglia camera da letto e una lussuosa cella da sotterraneo, con un letto e poco altro per quello che vedeva dall'entrata. Sul letto c'era la ragazza che aveva visto, con ancora quelle corna ridicole.
    Non aver paura, sono venuta per far smettere tutto questo. le disse tentando di usare un tono dolce e un sorriso, non sapendo quanto ci era riuscita. Sai dov'è chi ti ha fatto questo?


    Edited by Draghoradrim - 23/9/2014, 12:50
     
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  3. Evie
     
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    Lana;
    L'umana le sorrise, ma Lana non se ne sentì per nulla rincuorata. Quell'espressione sembrava innaturale sul suo viso, come se non fosse abituata a farlo spesso, ma non vi era traccia di menzogna nelle sue parole. In qualche modo sapeva che non le avrebbe fatto del male, nonostante il coltellaccio che teneva in mano.
    Odorava di ferro, e portava con sé l'aroma selvaggio della montagna. La sua aura era forte e accecante come fuoco vivo.
    « Sai dov'è chi ti ha fatto questo? ». Chiese, con un tono dolce e imperioso allo stesso tempo.
    Certo che lo sapeva, e a momenti non ci sarebbe stato alcun bisogno di dare indicazioni. Il suo Padrone era sveglio, e la porta dei sotterranei si stava aprendo. Poteva sentire le pietre del pavimento strisciare sulla roccia, e l'odore di sangue serpeggiare fuori dal covo nascosto.
    « Via di qui » disse, cercando di ricordare la pronuncia del linguaggio umano,
    « prima che ti trovi, devi andare via ».
    Era doloroso separarsi dalla prima creatura che le aveva mostrato gentilezza dopo tanti anni di reclusione. Le sarebbe piaciuto conversare ancora con lei, sapere qualcosa di più sul suo conto, e magari farsi raccontare di com'era diventato il mondo oltre quelle mura. Tuttavia sapeva di cos'era capace Caesar, e niente e nessuno avrebbe potuto ucciderlo in quel momento, nonostante il sole fosse già sorto. Il sangue di Ninfa che aveva in corpo lo rendeva immune a qualsiasi ferita fisica, e probabilemente nessuna magia poteva scalfirlo finchè rimaneva all'interno della tenuta. Era tappezzata di cerchi magici, sigilli, barriere che lui stesso aveva eretto molti secoli prima. Altri coraggiosi si erano addentrati nel castello, e ora facevano parte della macabra collezione di teste appese ai muri della biblioteca, a cui, per altro, lei era così abituata da non darvi più peso.
    - Mi dispiacerebbe vedere lì anche la sua, di testa - pensò, in attesa che le sue parole inducessero la donna a fuggire a gambe levate.
    Ad un tratto, un brivido le percorse la schiena, mettendo tutti i suoi sensi in allerta.

    Caesar era ritto davanti alla porta. Gli occhi collerici fissarono prima lei, poi l'umana, e la sua bocca si storse in un ghigno, mostrando i canini.
    « Un'amica è venuta a farti visita, piccola Lana? ».

    La Ninfa, sopraffatta dalla paura, pregò con tutto il cuore che la sconosciuta avesse qualche asso nella manica, perchè in quel momento solo un miracolo poteva salvarla dalla furia del Padrone.
     
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    È tempo di usare le nuove intestazioni aggiornate, ragazzi ^^ Le trovate nelle vostre schede, sostituite a quelle precedenti.
     
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  5. Draghoradrim
     
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    louisien1_zpsdc1d5aa4
    Lousien;
    La ragazza la fissò per alcuni interminabili istanti, come se la stesse scrutando dentro, per poi dirle in una lingua che poco ricordava la pronuncia umana di andarsene prima che venisse trovata.
    La cacciatrice si rese conto all'improvviso che quelle ridicole corna non erano delle decorazioni posticce, ma erano parte integrante di quell'essere. Chi era? Uno di quegli strani esseri mezzo donna e mezzo animale, che aqveva visto a ovlte a Tenar o nelle grandi città, con le orecchie da coniglio o i baffi da gatto?
    Cosa sei? le chiese sottovoce entrando nella stanza. Non si avvicinò troppo a lei, solo il necessario per togliersi dall'entrata. Si posizionò alla sua sinistra, così da avere sott'occhio lei, la finestra alle loro spalle, o così pensava esserci visti i pesanti e neri tendaggi che non riuscivano comunque a eliminare del tutto la lama di luce che filtrava dove uno finiva e iniziava l'altro, e anche la porta da cui era entrata, che lasciò aperta. Chi mi dovrebbe trovare? le chiese sottovoce, le armi in pugno, indecisa se essere allarmata per la estrema tranquillità della ragazza o per quello che era venuta a cercare. Caesar?
    Lei la guardò un altro istante, per poi fremere come fanno i cerbiatti di fronte al pericolo prima di fuggire, ed infatti la vide puntare gli occhi alla prota.
    Una figura, silenziosa e nera era appoggiata quasi mollemente allo stipite.
    La voce che fuoriuscì fu come acido nelle orecchie di Lousien, dandole però l'informazione che l'essere sul letto, che decise di considerare al momento come un ourthugal, si chiamava Lana.
    Amica è una parola grossa, detta da un essere come te... Caesar. gli disse.
    L'askei'viel era alto, apparentemente un umano molto pallido, vestito in modo elegante, probabilmente con vestiti di un tempo passato, a giudicare dalla fattura e dalla ricercatezza. Il volto era affilato, maligno in ogni piccolo dettaglio, dalla pelle quasi finta, simile a porcellana elfica nella sua perfezione, agli occhi scuri e magnetici, una delle armi più tremende di quelle creature. Evitò di fissarlo direttamente in volto, cosa che odiava, voleva guardare dentro i loro neri recessi della loro putrida anima prima di ucciderli.
    Si mosse lentamente, sapendo benissimo che data la sua bravura nell'arrivare senza essere notato, probabilmente aveva dei riflessi inumani, ma sperava di poter giocare di sorpresa. Rinfoderò le lame, sapeva essere inutili con lui, e con estrema lentezza mise la mano sinistra dietro la schinea, afferrando una delle bombe che teneva nascoste per ogni evenienza in una piccola sacca appesa alla cintura. Tastando la forma, leggermente differente a seconda dell'uso che doveva farne, ma ormai abituata da anni di utilizzo a riconoscere anche le minime asperità di quelle che potevano rappresentare la sua salvezza, afferrò una bomba di fumo e rumore, una di quelle che di solito usava per sviare l'attenzione da lei per far voltare il nemico.
    Sfortunatamente non potremo trattenerci a lungo, dovremo fare a meno della tua ospitalità. Scommetto che ci avresti fatto morire di cortesie... sorrise per poi lanciare fulminea la bomba tra lei e l'essere. Immediatamente la stanza si riempì di fumo e le piccole palline all'interno della bomba principale si sparsero nella stanza e anche nel corridoio uscendo dalla porta per poi scoppiare come petardi.
    Lousien scattò come un animale ferito appena il fumo iniziò ad uscire dalla bomba, mentre la creatura imprecava temporaneamente cieca. Muovendosi verso il letto afferrò Lana per la vita e la caricò in spalle come se fosse un tappeto, per poi dirigersi ai tendaggi. Sentì dietro di sè, un istante dopo che ebbe lasciato il letto, un rumore di stoffa stracciata e un'altra imprecazione.
    E' maledettamente veloce... pensò mentre la mano libera afferrava uno dei tendaggi e lo strattonava verso il basso. Sentì con piacere la stoffa cedere e cadere sotto il suo stesso peso, mostrando una finesta sporca e ingiallita, parzialmente incrostata da tanto che non veniva aperta o pulita, ma quello che le interessava era che dava sul giardino interno ed era illuminata.
    Sentì Caesar insultarla e lanciare uno stridente grido di dolore, probabilmente a causa della luce solare che era entrata.
    Bene. pensò lei mentre con una gomitata colpiva il vetro, mandandolo in mille pezzi che caddero parzialmente fuori, sul terreno del giardino sottostante. Erano circa quattro metri di caduta.
    Salta! gridò a Lana praticamente lanciandola giù dalla finestra, per poi saltare anche lei, preparandosi all'impatto con il terreno per rotolare via e dissipare con meno danni possibili l'impatto. Se era fortunata se la sarebbe cavata con pochi graffi e un bel mal di schiena.
     
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  6. Evie
     
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    Lana;
    Il terreno si fece sempre più vicino, e Lana impiegò la poca energia rimasta per preparare i piedi all'impatto. Non fu uno degli atterraggi più morbidi, dato il dolore immane alle caviglie che il salto le procurò, ma riuscì a non diventare un tutt'uno con il prato.
    La luce del mattino le bruciò gli occhi per un istante, prima di infonderle il calore tanto a lungo precluso, riportando colori e sensazioni familiari.
    Il prato sotto le dita era umido di rugiada, l'aria fresca profumava della notte appena svanita, e il tremendo puzzo degli Askei'viel sembrava schiacciato dalla freschezza della natura che si risvegliava.
    La femmina accanto a lei non sembrava altrettanto entusiasta, purtroppo. Dall'espressione contrita di dolore e rabbia capì che non era nei suoi piani una fuga tanto turbolenta, nonostante il suo aiuto fosse stato tempestivo ed efficace. Erano fuori dal castello, inondate dalla luce del sole, e lei era libera.
    Come un cerbiatto che impara a camminare per la prima volta, Lana fece forza sulle gambe e tentò di rimanere in equilibrio, traballante come fosse su dei trampoli altissimi. Dopo qualche secondo i suoi arti la tradirono, e si ritrovò di nuovo con il sedere a terra.
    Se avesse avuto con sé la sua ocarina avrebbe potuto chiamare il branco in aiuto, ma tutti i suoi averi erano rimasti nella stanza.
    A quel punto fece l'unica cosa sensata che le sovvenne.
    Affondò i palmi tra i fili d'erba bagnata fino a sentire la terra infilarsi tra le unghie, chiuse gli occhi e si mise in ascolto: le vibrazioni del suolo erano lievi, prodotte dalle minuscole creature viventi che scavavano le loro tane in profondità. I passi degli Askei'viel all'interno della tenuta disturbavano la sua indagine, e Lana incanalò tutti i sensi in direzione della pineta a nord che scivolava lungo la montagna. Eccoli, finalmente! Una moltitudine di zoccoli che correvano nella stessa direzione. Il branco si stava spostando, ma non era troppo distante.
    La Ninfa trasmise il suo flusso magico in quella direzione, sentendo le forze abbandonarla gradualmente. Toccò la coscienza di Martel, il cervo dominante, ed espanse il suo richiamò più forte che poté. All'improvviso, come tagliato di netto, il contatto si interruppe.
    La debolezza dovuta all'anemia prese il sopravvento, spinta al limite dall'uso della magia.
    Prima di perdere i sensi, Lana cercò di sorridere all'umana, che la guardava sbigottita.
    « Ce ne andiamo » sussurrò nella sua lingua, più a sè stessa che alla sconosciuta. « andiamo lontano da qui ».
    Un'ombra maestosa si proiettò su di loro, e Lana riconobbe l'odore muschiato e selvaggio di Martel. Il grande cervo abbassò il muso su di lei, e fu l'ultima cosa che vide.

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    - Role Info -
    Martel
    La tenuta di Caesar
     
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  7. Draghoradrim
     
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    louisien1_zpsdc1d5aa4
    Lousien;
    Come aveva immaginato, avendo già saltato altre volte da quelle altezze, anche se il terreno era più morbido e le condizioni più agevoli, non si era fatta molto male. Appena toccato il terreno era rotolata lateralmente per dissipare l'urto, ma sfortunatamente verso gli ultimi metri aveva cozzato con la schiena, all'altezza della scapola sinistra, con una grande pietra sporgente che aveva bruscamente frenato la sua corsa e le aveva fatto emettere una colorita imprecazione.
    Si era rialzata immediatamente, pronta a dover affrontare la sua preda, sebbene ora fosse indecisa chi fosse la preda e chi il cacciatore. Era sotto il sole del mattino, fortunatamente sebbene debole, era abbastanza da essere mortale per uno di quei mostri, che sentiva, quasi una sensazione istintiva, ma forse era solo la sua immaginazione, rintanati all'ombra del maniero o delle loro luride tombe. Le sembrava che tutto fosse suo nemico, e si girava da una parte all'altra di scatto, arco in pugno, freccia incoccata, gli occhi due fessure alla ricerca di un possibile nemico, un possibile bersaglio.
    Vide la sua compagna di fuga alzarsi e ricadere, per poi accovacciarsi per alcuni interminabili secondi, o forse erano passati minuti, la sua mente viaggiava come un cavallo al galoppo durante quei momenti di tensione, tutto era al rallentatore, anche il suo respiro. Lana cadde a terra svenuta accanto a un Enorme cervo bianco mentre lui sembrava annusarla.
    Cosa? Come sei...? gli chiese come se lui potesse capirla. Abbassò l'arco e si avvicinò lentamente, per poi rialzarlo immediatamente sentendo una sorta di ruggito rabbioso provenire dalla stanza che avevano appena lasciato. Il ruggito sembrò allontanarsi, ma non lo reputò affatto un buon segno. Li stava inseguendo. E se era abbastanza arrabbiato, probabilmente si sarebbe preso la briga di ammazzarla sotto la luce per poi andare a curarsi al buio dopo che le avesse strappato il cuore dal petto. Via, via, bisogna andarcene da qui! disse al cervo, che la guardò negli occhi con un'aria più intelligente di alcune persone che aveva conosciuto.
    L'animale mosse la testa in direzione della ragazza, e poi fissò nuovamente la cacciatrice, che capì quasi subito, caricando il corpo svenuto sulla schiena del cervo, che poi si voltò e si diresse verso il portone da cui anche lei era entrata, ora spalancato. Appena fuori si fermò e si voltò verso di lei, come ad indicarle di seguirlo, cosa che non si fece ripetere due volte.
    Ciò che è nel mio castello è mio! gridò infuriata una voce proveniente dall'aria, come se essudasse dalle mura del castello, e il portone iniziò a richiudersi per magia. E tu sei ancora dentro, umana!
    La cacciatrice scattò con tutte le sue forze verso il portone, gli occhi fissi in quelli intelligenti quanto inespressivi del cervo, il suo collo ancora torto per vederla.
    Le risate che ecceggiavano nel castello divennero urla di rabbia, quasi facendo tremare le peitre stesse della costruzione quando il portone si chiuse con un sordo tonfo.
    Lousien era fuori. Per un soffio ma ce l'aveva fatta. Si rialzò inspirando per far rallentare il cuore che batteva come il martello di una incudine nanica, con un debole sorriso sul volto. Aveva perso una battaglia, ma la guerra era solo all'inizio.
    Il cervo prese a camminare a passo spedito, certo della direzione da prendere, e lei lo seguì.
    Sparirono nei boschi. Camminarono per ore, l'orientamento ormai perso da parte dell'umana, per fermarsi in una radura quando ormai il sole era alto in cielo. Il cervo depose quanto dolcemente poteva il corpo di Lana sull'erba della radura e si accucciò poco lontano, sbuffando dalle narici.
    La cacciatrice si sedette su una roccia poco lontana dal centro della radura, e si rilassò per alcuni minuti, quando finalmente la ragazza sembrò dare segni di vita, aprendo lentamente gli occhi.
     
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  8. Evie
     
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    Lana;
    La prima cosa che Lana avvertì al suo risveglio fu la freschezza dell'erba umida sotto di sé.
    Non coperte ruvide e pruriginose, non un pavimento di pietra sporco del suo stesso sangue, ma un manto erboso che sapeva di casa e libertà.
    Ruotò appena la testa per scorgere la figura imperiosa di Martel poco lontana da lei, e allungò una mano verso il fidato amico.
    Il cervo si alzò e la raggiunse, lasciandosi cadere accanto a lei. Aveva il respiro affannato di chi ha appena corso per miglia e miglia senza tregua.
    - Chissà dove mi hai portato, Martel -.
    Un lungo sospiro catturò la sua attenzione, portandola a mettere a fuoco l'albiente circostante:
    dal numero di alberi e arbusti poteva dirsi una qualsiasi radura di montagna, e se Martel l'aveva condotta lì probabilmente si trovava entro i confini del suo territorio.
    A qualche metro di distanza, la donna umana aveva preso posto su una roccia, e la osservava come si osserva un'animale bizzarro. Dal canto suo, Lana era altrettanto stupita di trovarla lì. Se fosse stata furba l'avrebbe abbandonata e sarebbe scappata il più lontano possibile dalla tenuta del crudele Askei'viel, eppure aveva scelto di rimanere.
    Si sentì rincuorata da quel pensiero, dall'idea di non essere del tutto sola in quello strano mondo di umani e mostri.
    Con molta lentezza si mise a sedere sui talloni, e intercettato lo sguardo della straniera le sorrise cordialmente.
    « Grazie per essere rimasta, femmina umana » disse, mettendo insieme le parole che conosceva, mischiate al suo accento, « ti devo la vita ».
    Nessuno aveva mai osato entrare nella casa del suo padrone con altrettanto coraggio, e nessuno era mai sopravvissuto per raccontarlo ad anima viva. Questo, purtroppo, faceva di lei il nuovo bersaglio di Caesar. Era un cacciatore abile, sveglio, e molto vendicativo. L'ultima cosa che voleva era incrociare la sua strada un'altra volta, che per lei sarebbe stata anche l'ultima.
    Alzò gli occhi al cielo, incontrando i caldi raggi del sole di mezzogiorno. Avevano circa sei ore per prendere la massima distanza possibile, e sapeva che non vi era un minuto da perdere. Aggrappandosi al collo robusto di Martel, la Ninfa si fece sollevare e provò a rimanere in piedi. Si sentiva ancora molto debole, ma ora era in grado di ragionare con lucidità. A giudicare dalla posizione delle montagne, la cosa più saggia era spostarsi verso nord, in modo da lasciare alle spalle la tenuta. Da quel che sapeva, il branco di Martel si abbeverava ad un grande fiume, ideale per cancellare le tracce del loro passaggio. Ora il problema era riferire all'umana tutto ciò che le passava per la testa. Con un piccolo balzo, Lana montò sulla schiena del cervo e indicò un punto imprecisato avanti a sé.
    « Fiume, prima che arrivi la notte » disse con molta fatica, pregando che la donna decidesse di seguirla anche in questa impresa.
     
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  9. Draghoradrim
     
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    louisien1_zpsdc1d5aa4
    Lousien;
    Lana sembrò più interessata al cervo che a lei, e forse Lousien iniziava a capirne il motivo. Quelle corna, il suo modo di parlare al cervo, poche parole in una lingua che nulla aveva dell'umano, dopo averla raggiunta ed essersi quasi accovacciato accanto alei come se fosse stato unc ane da guardia.
    ERa una ninfa, quello era un dato di fatto.
    Quello che non si spiegava era cosa ci facesse una ninfa nella tana di quel mostro? Da quanto tempo era lì? Perchè era lì? e perchè non l'aveva ancora trasformata o divorata del tutto?
    I suoi pensieri furono interrotti dalla ragazza, che si rivolse a lei in modo stentato, come a ricordare parole imparate molto, molto tempo prima.
    "Nessun problema, Lana, giusto?" le rispose lei. "Ho solo salvato, o meglio, per adesso ho solo aiutato una persona in difficoltà a fuggire da un mostro. Adesso viene la parte difficile, evitare di essere uccisi." sorrise di sghimbescio, prendendo un sassolino da terra e lanciandolo poco lontano nella radura, un gesto inutile, ma che esprimeva tutta la sua frustrazione e la sua paura.
    Sapeva che un bersaglio ferito o comunque non ucciso era un nemico pericoloso. Un po' come un animale ferito. quello che non li uccide li rende più forti, e quello pareva già forte di suo. Le informazioni che aveva su Caesar erano eufemisticamente errate, altro che vampiro forte ma schivo, quello era una macchina da guerra e ora lei gli aveva tolto un giocattolo, forse il suo giocattolo personale visto che era ancora una con il sangue caldo.
    Sperò che avesse capito, era così pallida e emaciata. Chissà quanto sangue le avevano tolto, e per quante volte.
    La vide alzarsi, traballare, aggrapparsi al cervo, rimanere in piedi.
    Stava per parlare, ma decise di rimanere in silenzio. La ninfa sembrava molto, troppo concentrata in qualcosa che non poteva capire che era meglio lasciare che l'evento avvenisse senza che lei facesse nulla.
    Dopo pochi secondi tutto sembrava concluso, e la ragazza saltà con una notevole eleganza considerando il suo stato sulla groppa del bestione. Allungò un braccio e un dito verso Nord e le disse di un fiume.
    "Io vengo da Est, là ci sono gli insediamenti. A Nord cosa possiamo trovare? Un fiume dici? Chi te lo ha detto, il cervo?" Le chiese insicura, ma comunque alzandosi dalla sua dura e rocciosa poltrona. "Prima che arrivi la notte? E' così lontano?"
    Poi capì, o così credette.
    "Dobbiamo raggiungere il fiume prima che loro possano uscire? Non sarà facile. Venendo qui ho trovato degli sgherri fedeli alla bestiaccia che ti teneva prigioniera. Ci sono nemici anche di giorno. Umani e umanoidi che per soldi o un po' del uso sangue, malati di mente, gli hanno venduto l'anima, se così possiamo dire." sorrise cattiva. "Se li incontriamo, saranno affari loro. andiamo, fai strada."
     
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