War

« Older   Newer »
 
  Share  
.
  1. shevaara
     
    .

    User deleted





    Titolo: War
    Genere: Azione
    Avvertimenti:
    Rating: arancione
    Capitoli: 1 auto conclusivo
    Note dell'autore:
    breve racconto scritto per un concorso. il tema era la guerra e io l'ho descritta come me la immagino, con qualche tocco post-apocalittico.


    Scheletri di palazzi, grattacieli che una vota dovevano essere stati altissimi, faglie, precipizi dividono il terreno a metà come abissi senza fondo. Neanche una traccia di verde in queste terre secche, dove rari animali si aggirano furtivi in cerca di cibo che non c'è.
    Troppo freddo di notte, troppo caldo di giorno perché qualcosa possa ancora crescere o vivere sotto questo cielo costantemente nero che non sa far altro che vomitare pioggia acida.
    Un inferno che nessuno di quegli stupidi libri “sacri” saprebbe descrivere meglio. Ecco la furbizia degli uomini nel creare il nucleare e poi andare oltre ogni limite.
    Ogni volta che i miei doveri mi portano in superficie penso che vorrei vedere tutto com'è ritratto in quelle vecchie foto: gente per le strade, negozi, parchi, famiglie, un posto così... paradisiaco.
    Ma non vi penso più di tanto, non posso. Noi non siamo in quella foto, siamo in guerra.
    Non palazzi o negozi, ma nascondigli. Non casa, ma rifugio. Non prati, ma sangue per terra.
    Non persone e famiglie, ma noi e loro. Loro, i nemici. Chiunque non è noi è un nemico, che appartenga alle Talpe o a quei bastardi dei Pistol-Shot non fa differenza.
    Sono nemici.
    Ci contendiamo l'acqua, il cibo, le sementi e i frutti del nostro arido orto, ci contendiamo l'oro nero come valesse più del sangue che ci scorre nelle vene, ci contendiamo tutto in un mondo in cui non c'è più niente. Il mio fucile è il mio migliore amico e i miei compagni coloro a cui affiderei la mia vita. Non ho nient'altro di mio, non c'è nient'altro di sicuro oltre alla guerra e alla morte.
    - È sbagliato... - sussurra Raul, poggiando la fronte sul calcio del fucile.
    Le spalle contro un muro semi distrutto, mi lascio scivolare a terra, esausto, senza guardarlo direttamente. Rabbia e dolore si mischiano nel mio cuore facendomi fremere.
    - La guerra... Questa guerra è sbagliata - continua il ragazzo - Non dovremmo combattere tra di noi, ma aiutarci! Siamo tutti umani, tutti ridotti nelle stesse condizioni! - le ultime parole gli muoiono in gola, come soffocate dal peso dell'utopia.
    - Se vuoi andare da loro disarmato predicando la pace fai pure, non ti fermerò! - rispondo sarcastico, un sorriso quasi cattivo sul volto - Will, bacia i piedi al nostro nuovo messia portatore di pace e amore - aggiungo, ma mi accorgo di aver esagerato. Scusa Raul, scusami. Enrique era tuo fratello, ma anche un nostro compagno. La sua morte fa soffrire tutti noi... Sono io il leader, era mia responsabilità, io...
    Scende il silenzio tra noi, gli Sharp-Shooter, i cecchini, una volta tredici e ora solo più dodici, riuniti in questo edifico sventrato. Passo con lo sguardo sui miei uomini. Tutti con gli occhi infossati, lo sguardo stanco, le spalle ricurve come fossero vecchi alla fine di una lunga e spossante vita che aveva fatto di tutto per abbatterli. Non eravamo vecchi, la nostra vita non era stata così lunga, ma comunque non ci aveva mai risparmiato. Will non ha sentito quel che ho detto prima; sta continuando a pregare, il rosario stretto tra le mani giunte. È l'unico rimasto con un briciolo di fede.
    Conto fino a dieci, poi fino a venti, e mi accorgo che fosse per me andrei avanti a contare all'infinito prima di decidere ad alzarmi. Mi faccio coraggio e interrompo il silenzio.
    - Non abbiamo ancora finito, noi - dico. Mi alzo in piedi aggiustandomi il fucile a tracolla. È pesante, ancor più di quanto ricordassi.
    - Ci serve quel carburante - continuo - Non voglio morire congelato insieme al nostro bell'orticello -
    Passo accanto a Raul e gli poso una mano sulla spalla. Vorrei dirgli qualcosa ma apro la bocca senza che nessun suono ne esca. Passo oltre dirigendomi verso l'uscita da quella stanza carica di dolore.
    - Su, sbrigatevi o Ellie e Lauren ci faranno il culo - cerco di sdrammatizzare, inutilmente.

    - I Granade si sono ritirati - dico con sollievo, ma so che, di conseguenza, arriverà una brutta notizia.
    - Ho trovato tracce dei Pistol-Shot - mi dice Philip.
    - Merda - ma per una volta non potremmo avere campo libero? Non potremmo per una volta non doverci scontrare con nessuno? Raul ha ragione, questa guerra è sbagliata, ma non possiamo farci niente. O viviamo noi o vivono loro, non c'è altra scelta.
    Le cose sono di chi se le prende per primo, o di chi riesce a prenderle ai cadaveri nemici.
    Sarebbe troppo bello se un “per favore” bastasse per ciò. I proiettili volano, le granate esplodono, i gas scivolano lenti nell'aria, i mirini di precisione cercano implacabili la preda... E le persone muoiono.
    Questa è la guerra.
    Così stupida ed insensata, ma così difficile da fermare.
    - Li sento -
    Mi fermo voltandomi verso Claude, il nostro orecchie acute che sente ogni cosa. Le radiazioni lo hanno reso così, come altri che vengono dalle zone più vicine alle centrali.
    - Dove? - chiedo, ma l'uomo scuote al testa. - Chi? I Pistol-Shot? - continuo, ma dopo un attimo di ascolto, le orecchie tese, Claude scuote nuovamente la testa.
    - Non sono le Talpe, è tutto ciò che posso dire. Sento rumore di armi e armature.
    Annuisco, mentre ragiono sul percorso da prendere.
    La vecchia metropolitana è un'opzione sicura. Noi conosciamo le gallerie abbastanza bene, mentre i Pistol-Shot non osano entrarvi. A voce bassa lo comunico agli altri che, uno dopo l'altro, annuiscono, tesi. Tutti, tranne Claude che si corruccia, lo sguardo fisso nel vuoto mentre ascolta i rumori che ci circondano.
    - Claude? -
    Un proiettile si conficca sul muro alle mie spalle, cogliendomi alla sprovvista. Porto la mano al calcio del fucile, mi abbasso mentre altri colpi si conficcano sopra la mia testa. Sono veloci, in rapida successione. Non sono i Pistol-Shot, quest'arma è un mitra.
    - Via! - grido con quanto fiato ho in gola. Scatto in avanti poggiandomi con le spalle contro un pezzo di lamiera. Mi volto verso i miei uomini che a loro volta cercano riparo. - È me che vogliono, continuate la missione! -
    Senza aspettare assensi, scatto nuovamente lontano dai miei, facile bersaglio per i miei assalitori. Seguiranno me, io sono leader, io sono la guida per il mio gruppo, io conosco tutti i segreti del nostro rifugio. Aggiro delle macerie e un uomo mi blocca la strada, un mitra in mano. Indietro non si torna, non posso che andare alla mia destra, dove il bordo di una faglia mi attende. Guardo in basso, dove un palazzo è sprofondato nel terreno insieme a molti altri. Non ho tempo per pensare, ne per ragionare. Salto, atterro pochi metri più in basso e, dopo un interminabile secondo in cui le mie gambe mandano dolore e proteste, riprendo a correre. Dietro di me scariche di mitra mi spingono ad andare ancora più veloce. Dietro di men un altro tonfo, qualche grida in lontananza. Non mi giro, non ne ho il tempo. Non voglio farmi azzoppare, non voglio finire nelle loro mani, non mi faranno parlare. Corro, corro più veloce che posso. Devo allontanarmi da coloro che mi rincorrono. Mi basta trovare un punto altro, distante, e il mio mirino li scoverà tutti.
    Sento un sottilissimo sibilo, un veloce spostamento d'aria vicino al mio orecchio. Subito penso mi abbia mancato, ma poco dopo la tempia inizia a bruciarmi. Sento il sangue che caldo mi cola lungo il viso in un piccolo rivolo. Non posso che sorridere. Ci sei andato vicino, bastardo.
    Non mi sento mai così vivo come quando cercano di ammazzarmi.
    Il tetto sta finendo, lo vedo, ma non mi fermo. Davanti a me, alcuni metri oltre il bordo, vi è la facciata di un palazzo, inclinata da una caduta, ma intera. Il salto è alto, lo spazio che li separa lungo.
    Dovrei fermarmi, ma non lo faccio. So che sto rasentando la pazzia, l'adrenalina che mi scorre in corpo mi fa credere di potercela fare. Dovrei fermarmi... ma ormai sono sul bordo. Piego le gambe, spingo con forza e salto.
    La facciata si avvicina rapidamente. Mi giunge attutita qualche imprecazione gridata alle mie spalle. Allargo le braccia e atterro. Gambe, dannate gambe, perché vi lamentate ancora, più di prima? Sto chiedendo troppo al mio corpo lo so, questo salto era troppo. Fatico ad alzarmi, la caviglia destra manda fitte. Tutto quel che riesco a fare è lasciarmi cadere in una delle finestre vicino ai miei piedi, tra schegge di vetro e scheletri metallici, per poi rotolare sul pavimento inclinato fino a fermarmi toccato il muro di fondo.
    Mi fermo, respiro a fondo. Mi stringo il fucile al petto e la sua solidità mi dà sicurezza. Finché avrò un arma nelle mie mani potrò combattere, indipendentemente dal dolore che mi trafigge il corpo. Do un ultimo profondo respiro e poi mi trascino avanti con le mani, fino alla finestra. Mi muovo cauto fino a quando il tetto da cui sono saltato entra nella mia visuale. Mi obbligo ad alzarmi in piedi, zoppicando sulla caviglia dolorante, per affiancarmi alla finestra, nascosto dall'interstizio di cemento nudo. Impugno il fucile, posando la canna sopra un pezzo di metallo divelto che regge ancora qualche pezzo di vetro qua e là. Un sorriso mi illumina il volto mentre mi preparo. Controllo i colpi, tolgo la sicura, mi assicuro che il fucile sia fermo e mi poso il calcio contro la spalla. Come mi stessi preparando ad un piacevole hobby.
    Siete miei, bastardi.
    Porto l'occhio al mirino e li osservo mentre increduli, in sette, guardano verso il palazzo in cerca di mie tracce.
    Uno mi vede, ma è troppo tardi. Lo colpisco in testa e vedo il sangue schizzare come acqua da un idrante. Ma non ho tempo di godermi lo spettacolo. Mi muovo appena, prendo la mira e sparo. Sparo e sparo ancora, nascondendo una sadica risata. Un piacere, abbattere la preda come fosse un cane rognoso, che certe volte non ha paragoni. Ne cadono quatto, cadono silenziosi, morti ancor prima di toccare terra. Gli altri tre scappano oltre il bordo del tetto e ne perdo le tracce.
    Non li inseguirò come lupo dietro e pecore indifese, non questa volta.
    Quante volte Will mi ha gridato dietro per questo mio comportamento... Bacia il rosario e prega per me, perché io più degli altri mi ricordi che è sbagliato far del male, che Dio non ci ha insegnato questo.
    Ma dov'è ora questo Dio? Ci lascia soli in questo mondo distrutto dove la pazzia lentamente prende i nostri cuori, se non è la morte a prenderseli prima.
    Questa è la guerra.
    Nessun Dio.
    Nessun onore.
    Nessuna regola.
    Solo morte e sadico divertimento che diventano la normalità.

    Mi trascino avanti. La caviglia sembra star meglio, ma la tempia mi pulsa fastidiosamente, lasciando cadere ancora qualche rivolo di sangue. Le mie gambe sembrano non voler fare un passo in più. Barcollo, andando a sbattere con una spalla contro un muro.
    Vorrei fare un altro passo, un altro ancora, ma non ce la faccio.
    Mi lascio scivolare a terra concedendomi qualche attimo di riposo
    Devo tornare a casa, solo e malmesso come sono diverrei un bersaglio infinitamente facile. Non potrei mai ritrovare i miei compagni, ormai posso solo sperare che tutto sia andato bene e che tornato al rifugio li troverò li con il carburante che ci serve.
    Devo tornare a casa tutto intero, altrimenti Lauren si arrabbierà gridando e poi mi abbraccerà piangendo. Non voglio farla preoccupare, non ora che finalmente ha una nuova vita in grembo.
    Devo tornare a casa, basta riposarsi. Mi rialzo, la mano sul calcio del fucile, pronto a scattare ad ogni minimo rumore sospetto.
    Il sole sta ormai calando, lanciando qualche raggio sotto la spessa coltre di nubi tossiche, tingendo l'orizzonte di un rosso cupo.

    Non me ne sono neanche reso conto. Un rumore metallico e, il tempo di girarmi, uno sparo riecheggia nell'aria. Il proiettile mi trapassa la spalla costringendomi in ginocchio, una mano a stringermi la ferita. Un calcio al petto mi spinge a terra. Stringo i denti, sopporto il dolore, e non mollo il mio fucile. È uno dei Pistol-Shot, lo riconosco dagli armamenti. Sorride, divertito dall'avermi trovato. Vorrei rompergli uno ad uno quei denti sporchi.
    - Uno Sharp-Shooter... - sussurra puntandomi la pistola contro il viso.
    Il cuore mi batte all'impazzata riempiendomi le orecchie mentre il dolore si mischia all'eccitazione. Guardo su lungo la canna e quasi mi sembra di vedere il proiettile pronto a scattare verso la mia fronte. Lentamente porto il dito al grilletto del mio fucile, sono pronto a sparare, probabilmente anche più velocemente di lui.
    Potrei morire.
    Potrei ucciderlo.
    Tutto dipende dalla fortuna, dal caso, dal culo.
    Non posso che sorridere alla morte. Vediamo se questa volta riesci a prendermi con te.
    Questa è la guerra.
     
    Top
    .
0 replies since 28/8/2013, 00:05   47 views
  Share  
.