Incontrando uno zio a Atrmatplat

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  1. Alexander Gawain Stelson
     
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    clarisse
    Clarisse;


    Le torri merlate della città furono le prime cose che la donna vide avvicinandosi ad essa.
    Era molto tempo che non vi metteva piede, da quel giorno tanto bello all'inizio quanto orribile alla fine.
    Ma sembrava che nonostante il tempo, poco o nulla fosse cambiato.
    Aveva salutato con le lacrime pronte a cadere sia suo padre che sua zia e i suoi cugini, quindi si era incamminata verso la città.
    Per lei era sempre stata enorme, inviolabile, con le sue mura alte e massicce pattugliate giorno e notte da soldati e le torri che sembravano lance pronte a colpire il nemico in caso di guerra.
    Era una città portuale, comunque, non una roccaforte, e quello lo si poteva capire dall'andirivieni di navi più o meno grandi che portavano pesce, mercanzie e uomini, e dall'incessante traffico di carretti di ogni dimensione che entravano e uscivano dall'entrata posta a Est, una grande porta a due battenti ad arco gotico atturalmente aperta, con alcune guardie all'entrata per controllare. Era così grande che probabilmente ci volevano sei persone una sull'altra per toccare il punto più alto, e almeno quattro persone stese per riempire la sua larghezza.
    Nessuno badò a lei quando arrivò a tale ingresso, poco dopo mezzogiorno.
    Aveva mangiato un boccone seduta su una pietra a circa un'ora di cammino dalla città, controllando che quello per cui era venuta ci fosse ancora.
    Certo non era il suo unico scopo, anzi, forse era, no, decisamente era un favore a suo padre, ma non le costava nulla e poi avrebbe potuto rivedere lo zio Dirk.
    Erano forse tre anni che non lo vedeva, chissà come stava.
    Il cappuccio ampio sul capo e il mantello ben chiuso davanti a sè, Clarisse entrò in città come una sorta di spettro.
    La stoffa scura, come il cappuccio che le nascondeva totalmente il viso, e la sua altezza non indifferente la facevano svettare in quella marea umana fatta di uomini, nani, elfi e altre razze che più o meno conosceva colorati nei toni più disparati, come era usanza delle varie regioni e dei vari status sociali o religiosi.
    Vide un gruppo di Ourthugal, quasi tutti con tratti di gatti o felini di piccole dimensioni, uscire ridacchiando da una taverna, visibilmente alticci.
    - Probabilmente un gruppo di appena maggiorenni che si sono dati alla baldoria. - pensò mentre passava loro accanto, sentendo distintamente l'odore di birra nanica, scura e speziata. Sorrise a labbra chiuse. - Se non siete nani, sai che mal di testa quando vi passerà la sbornia? Vi hanno fatto decisamente un brutto tiro.
    Il negozio di zio Dick era in una delle piazze principali di Tenar, quasi in centro al paese, ma abbastanza vicino al porto da essere visto da quelli che arrivavano da esso. E tanti si fermavano a curiosare, e alla fine compravano.
    Certo, qualcuno tentava di fare il furbo e "prendeva in prestito" senza chiedere, ma dopo che il fabbro mise il cartello sulla porta relativo alla sua collezione di mani di ladri, i furti cessarono.
    Non era vero, lei lo sapeva, ma funzionava meglio di un cane da guardia e non mangiava tonnellate di carne.
    L'aveva studiata bene, mettendo in giro le voci e sapendo che ognuno di quelli che conosceva e di cui si fidava avrebbe giurato che aveva visto la collezione di mani rinsecchite, aggiungendo qua e là orribili dettagli.
    Quando mancavano non più di due voltate in viette strette e piene di persone, ecco che al suo naso giunse l'inconfondibile, anche se molti flebile, odore salmastro.
    Ogni volta si stupiva di come quel profumo la prendesse e le raccontasse di mondi lontani e stupendi, di boschi e montagne e di pericoli e tesori nascosti.
    Sua madre le aveva raccontato un po' del mare, lei lo aveva visto e lo aveva anche attraversato, ma quando lo vide per la prima volta, sul molo di Tenar, ogni cosa detta o immaginata non aveva potuto reggere rispetto alla meraviglia della realtà.
    - Speriamo che questo profumo sia foriero di un buon inizio della mia avventura. - mormorò, schivando un ragazzino che correva come se avesse avuto un demone ad inseguirlo.
    Per un istante i lembi del suo pesante mantello si divisero dalla base fino alle ginocchia, mostrando un riflesso di luce metallica, immediatamente inghiottito dal nero della lana cotta.
    La piazza in cui giunse era, rispetto ad altre, più vuota, c'erano meno passanti ma quelli che c'erano erano quasi tutti guerrieri, avventurieri, forse anche alcuni pirati.
    Quella era Atrmatplat, la Piazza degli Armaioli, come la chiamava nella sua lingua sua madre.
    E difatti tutti i negozi erano di fabbri, rivendotiri di armi e armature, studiosi di metalli e maghi che sapevano lavorarli.
    Da un semplice coltellino a un elaborata spada a due mani con l'elsa magica, potevi trovare di tutto, se potevi permettertelo.
    La donna si diresse a passo sicuro verso una porta poco distante dal punto in cui era entrata nella piazza, andando verso sinistra.
    Era chiusa, e con un piccolo sbuffo la donna la aprì, sebbene nessuna mano uscì dal mantello, ma al contrario un piede quasi del tutto coperto da lucido metallo, mentre la sua figura si sbilanciava quel che era necessario per permettere al piede sinistro, prensile quasi quanto una vera mano, di afferrare la maniglia in ottone e abbassarla, quindi spingere la porta in scura quercia per permetterle di entrare.
    Chiuse la porta alle sue spalle con un leggero colpo di anca, ascoltando le deboli campanelline metalliche che risuonarono ad indicare che qualcuno era entrato e osservò distrattamente tutto quello che conteneva quel negozio.
    All'apparenza sembrava più un grande ripostiglio stipato di armi e pezzi di armatura, ma aveva imparato che in quel disordine c'era un perfetto, per quanto nanico, senso logico.
    - Arrivo subito! - gridò da un luogo imprecisato, ma apparentemente sotterraneo, una voce profonda e roca, da fumatore.
    - Tranquillo zio, non ho fretta. - gli rispose lei, sedendosi su una sedia sgombra vicino al bancone sul fondo del locale.
    La testa del mezzo nano spuntò dopo pochissimi secondi da sotto il bancone, rossa in faccia e con gli occhi sgranati.
    - Per la barba di mia madre, solo una al mondo può chiamarmi zio. - brontolò aggiustandosi sulla fronte degli occhialoni di metallo e vetro spesso e affumicato fissati alla nuca con delle cinghie di cuoio, probabilmente usati per resistere molto tempo vicino alla fucina, che aveva creato sottoterra. Fece il giro del bancone mentre si puliva lemani callose dentro il suo grembiule di crosta di cuoio legato alla vita e al collo da cinghie nello stesso materiale. Allargò le braccia muscolose e sorrise, denti bianchi e perfetti in un volto segnato dal calore e dagli anni con profonde rughe. - Clarisse! Fatti abbracciare...
    Lei si alzò e si fece abbracciare da quelle muscolose braccia.
    L'uomo, un mezzo nano dall'età indistinta, le arrivava con il volto forse alla base dei seni, ma era abbastanza forte da poterla sollevare come un fuscello.
    - Scusa se non contraccambio. - gli disse, senza accennare a togliersi il cappuccio.
    Lui si rabbuiò.
    - Allora è vero quello che mi ha detto tuo padre? Sei decisa?
    Lei annuì, solo il movimento del cappuccio a testimoniare che lei aveva risposto.
    - Mi mancherai, piccola, mi mancherai molto. Ma sono certo che ci rivedremo presto, e fammi un piacere. Spaccagli il sedere anche da parte mia.
    - Certamente, zio. - rispose.
    Aveva iniziato a chiamarlo così quando suo padre le presentò per la prima volta Dirk Irving.
    Era arrivato da forse un anno o due a Tenar, e faticava a mettersi in affari, ma suo padre e altri del luogo decisero che una mente come la sua non doveva essere sprecata, così convinsero gli altri fabbri a non intralciargli il lavoro ogni volta che potevano, e quindi il mezzo nano iniziò a farsi una reputazione, che continuava ad ingrandirsi.
    Erano buoni amici, suo padre e lui, uniti dalla passione per il metallo e le opere che si potevano fare con esso.
    - Brava piccola.
    - Ma non sono venuta solo per dirti addio. Ho con me dei progetti che mio padre vorrebbe che tu analizzassi per capire se sono fattibili o meno.
    L'uomo sbuffò comicamente.
    - Progetti insiste a chiamarli. Scarabocchi di un orbo, ecco cosa sono! - brontolò. - Va bene, ma li guardo solo perchè sei tu a chiedermelo.
    Clarisse, dopo essersi di nuovo messa in equilibrio sulla gamba destra, estrasse la sinistra dal mantello e con velocità aprì la fibbia che chiudeva il mantello stesso al collo, facendolo cadere per terra.
    La sacca a tracolla che aveva di traverso al petto, appoggiata sulla spalla destra, fu aperta sempre dal piede mentre l'altro controbilanciava le mancanze di equilibrio.
    Prese le varie pergamene avvolte una sull'altra e fissate con del nastro di cotone nero e le porse al fabbro, che le prese e srotolò il tutto mentre lei richiudeva la sacca e con alcuni movimenti recuperava il mantello rimettendoselo sulle spalle e chiudendolo.
    Solo il cappuccio non era sul volto, lasciando quella bellezza dai tratti vagamente orientali e con una abbronzatura quasi irreale libera dimostrarsi.
    - Allora?
    - Un gran guazzabuglio, ecco cosa sono queste zampe di gallina. Ma vedrò cosa ci posso fare e informerò tuo padre, piccola mia. - sorrise Dirk Irving, infilando le pergamene sotto il bancone.
    Si scambiarono altri pochi convenevoli e quindi lui la accompagnò alla porta.
    Lei uscì nella piazza, il sole del pomeriggio a scaldare il suo mantello e il cappuccio che si era rimessa sulla testa prima di uscire.
    - A presto. - le disse lui.
    - A presto. - rispose lei, voltandosi e iniziando a camminare.



    Edited by Alexander Gawain Stelson - 2/9/2013, 16:50
     
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  2. Silvia_M
     
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    alius
    Cristina;
    Cristina era ritornata a Tenar da pochissimo, avendo varcato le porte della città poco dopo l'ora di pranzo, da quello che poteva aver capito visto che la gente era sparita in casa e i negozi, grandi o piccoli erano chiusi.
    L'aria era carica di profumi di mare e di cibo caldo e pane fragrante, facendole brontolar elo stomaco e ricordandole che non mangiava dalla sera prima.
    Anche il suo gattino, che poi piccolo piccolo non era si era messo a miagolare a ritmo dello stomaco della donna, camminandole a fianco come faceva sempre, se non era stanco. In quel caso saltava sulla sua spalla e stava lì a guardare il mondo muoversi sotto di lui.
    - Ho fame anche io, Scrick. Un attimo che appena trovo una locanda che posso permettermi recupero del pane, del formaggio e del latte per te.
    Il gatto la guardò con occhi lattei come se l'avesse capita e avanzò di alcuni passi di corsa come a cercare la famosa locanda.
    Il sole era caldo e l'aria frizzante e piena di odori che le ricordavano un po' casa sua, lontana giorni di viaggio in nave.
    Chissà come stava sua sorella, e papà e mamma? Aveva voglia di sentirli e vederli, era tornata da loro solo due volte in quattro anni, troppo pochi, ma aveva fatto molta esperienza e si era fatta anche una certa nomea come cacciatrice presso buona parte dell'isola. Era veloce, precisa e costava poco.
    forse troppo, visto che alla fine non aveva mai molti soldi in tasca.
    Sbuffò e si diresse verso il centro della città. Se non trovava davvero nulla c'erano sempre i bassifondi, ma se poteva, avrebbe evitato. Troppa gente e troppe possibilità di finire picchiata o altro peggio.
    Era arrivata in una grande piazza. Era la prima volta che ci capitava, sebbene avesse visitato Tenar varie volte. Sembrava che quasi tutti i negozi fossero chiusi, e nessuno di essi era una locanda. tutti vendevnao armi e armature o cose simili. Non roba per lei, lei aveva ben altro.
    Una signora si chinò a grattare la testa al suo gatto che si era avvicinato e si era strusciato sulla sua gonna e le sue caviglie.
    - Scrick, lascia stare la signora, gatto fastidioso... - lo rimproverò ad alcuni metri dalla donna.
    La signora alzò lo sguardo e si bloccò per un istante.
    - Immaginabile.
    Vestita di nero, il cappuccio da mago o da sacerdote sul volto, niente se non una macchia nera come la notte e un volto quasi del tutto nascosto, le mani incosciate sul davanti alla maniera dei preti, decisamente Cristina sembrava un monaco nero, di quelli che meno ne vedi meglio è, e se non li vedi è ancora meglio.
    - Nessun... nessun problema. - balbettò la donna, finendo di mettersi dritta con la schiena senza mai staccare gli occhi di dosso alla figura ammantata di nero. - Non ha fatto nulla di male.
    - Meglio così. - rispose lei con voce squillante ma neutrale nel tono. - A non tutti piacciono i gatti neri. Dicono che portino sfortuna.
    - L'ho sentito anche io.
    Si sistemò la gonna lisciandola un attimo e con un cenno del capo come se fosse un saluto se ne andò, chiudendo la porta alle sue spalle.
    Lei allungò una mano guantata di nero nella direzione dell'animale come da invitarlo a venire da lei e a salire sulla spalla, ma il gatto al contrario partì a razzo verso un ben preciso punto della piazza.
    Probabilmente aveva visto qualcosa che reputava interessante o commestibile, o entrambi.
    Cristina lo inseguì di corsa, il mantello a svolazzare come mosso da un forte vento, gli occhi puntati su di lui, diretto apparentemente verso alcuni secchi di legno vicini ad una porta.
    - Avrà visto un topo. - pensò.
    La porta si aprì all'improvviso mentre due figure uscivano e si scambiavano due parole che Cristina non intese, troppo intenta a curare il suo gatto. Lui appena la porta si era aperta aveva scartato improvvisamente sulla sinistra, cosa che fece anche Cristina, ma non avendo la sua agilità trasformò il movimento aggraziato del gatto in una comica voltata quasi ad angolo retto che finì invece in un rovinoso scontro con la figura più alta delle due, che oltretutto non si era accorta di loro e si era incamminata per un paio di metri lontano dalla porta, proprio sulla traiettoria della maga.
    Cristina chiuse gli occhi all'impatto e si ritrovò un secondo dopo per terra a massaggiarsi il sedere dolorante per la botta.
    Anche l'altra era a terra.
    - Scusascusascusascusa! - disse lei cercando di capire se era meglio alzarsi epoi darle una mano o il contrario.
    Il gatto si era fermato e le stava guardando da alcuni metri lontano.
    Avrebbe giurato che stava sghignazzando.
    Alla fine si alzò e allungò la mano guantata per aiutare la figura, vestita di nero come lei, a rialzarsi. entrambe avevano perso il cappuccio.
    il sorriso di cortesia e di imbarazzo che si era stampato sul suo volto divenne uno sguardo sgomento nell'osservare che quella che aveva di fronte era una figura atletica, molto bella, ma senza braccia.
    - Per le squame dei tritoni, sarò mica stata io? - pensò pallida.


    X a riel' / Naminè, spero che non abbia fatto una cavolata a usare il porpora per le scritte, mi piacevano un po' di più del solo grassetto. Se non va bene fatemi un fischio in MP che cambio subito.
     
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    Tranquilla, finchè è un colore non importa :3 piuttosto fa' attenzione all'auto-conclusività: so che si tratta solo di una caduta o che si sia abbassato involontariamente il cappuccio, ma è giusto per precauzione xD Buon proseguimento C:
     
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  4. Silvia_M
     
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    CITAZIONE (X a riel` @ 18/9/2013, 22:58) 
    Tranquilla, finchè è un colore non importa :3 piuttosto fa' attenzione all'auto-conclusività: so che si tratta solo di una caduta o che si sia abbassato involontariamente il cappuccio, ma è giusto per precauzione xD Buon proseguimento C:

    Scusascusascusa... Non me ne ero resa conto. Nel caso ricapita, mia ha detto Alex, meglio mettere che eventualmente lo avevamo concordato. In questo caso no, è tutto di testa mai, ma ha detto che si adegua anche perchè non ho capito che cosa vuole combinare...
     
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  5. Alexander Gawain Stelson
     
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    clarisse
    Clarisse;
    Clarisse aveva mosso tre, forse quattro passi lungo la piazza, dirigendosi verso la strada che l'avrebbe portata verso le porte della città. Avrebbe mangiato un boccone fermandosi ad una taverna dove psesso con il padre sostavano per un piatto di manzo in crosta di pane nero e delel verdure stufate. Se gli affari erano andati bene il padre si concedeva anche una birra maltata.
    La prima volta che l'aveva assaggiata, vari anni fa, era convinta che il sapore sarebbe stato dolce e caramellato come il miele caldo alle spezie che le preparava sua madre, mentre invece si era ritorvata un sapore amaro, solo parzialmente coperto da un dolciastro simile al caramello. Fortunatamente il padre le aveva detto scherzando di prendere un piccolo sorso e lei gli aveva dato retta. ci volle tutto il pasto e anche una ciotola di pasticcio di biscotti e baccamelle nere per eliminare dalla bocca il saporaccio. Magari avrebbe preso anche il pasticcio quel giorno, se c'era, o una fetta id torta di mele, la caricavano un po' di cannella ma era molto particolare.
    Persa nei suoi pensieri non si accorse della massa scura che si era avvicinata a tutta velocità dalla sua sinistra, un turbinare di braccia e stoffa di un mantello, e che la colpì in pieno al lato facendola rovinare a terra. Per istinto posizionò il suo corpo per assorbire l'urto e sulla spalla e sul fianco destro sentì crearsi una sottile lamina di magia che avrebbe attutito l'urto ulteriormente sebbene non visibile, adesa alla sua pelle e quindi tra questa e i vestiti, a loro volta coperti dal mantello.
    L'impatto non fu violento, ma comunque fastidioso non avendo Clarisse la possibilità di ammortizzare l'urto anche con le mani, saldamente bloccate dietro la sua schiena.
    Nei pochi istanti che seguirono la caduta si girò in modo da non dare la schiena a chi o cosa l'aveva colpita e si tenne pronta ad un eventuale attacco. si accorse con un angolino della mente che il suo cappuccio non era più calato sul viso, ma non vi fece caso, altri l'avevano già vista e di sicuro a Tenar non si stupivano per una donna un po' abbronzata.
    - Possibile che ho fatto due metri dal negozio dello zio e già mi capita un guaio? - borbottò mentalmente osservando la cosa, che si rivelò poi una persona, che l'aveva colpita.
    La persona che era a terra quanto lei era una ragazza probabilmente della sua età, vestita di scuro e con le braccia inguainate in lunghissimi guanti neri molto aderenti. Aveva detto qualcosa, ma ad una velocità tale che non era stata in grado di discernere le parole, probabilmente una sorta di velocissime scuse, quindi aveva teso la mano guantata per aiutarla ad alzarsi.
    Clarisse non fu certa se sorridere o rimanere indifferente alla situazione. Per stringerle la mano avrebbe dovuto usare uno dei piedi, ma le servivano entrambi per potersi rialzare, oltre al fatto che la ragazza aveva una faccia decisamente buffa, con la bocca parzialmente aperta e gli occhi, due profondi e dolcissimi occhi marroni, sbarrati per la sorpesa.
    - Non importa, non è successo nulla. - le disse, alzand entrambe le gambe parzialmente in aria e facendo leva sui suoi glutei, si diede un colpo di reni abbastanza forte da ritornare in piedi, sebbene leggermente sbilanciata, cosa a cui rimediò subito portando il piede sinistro avanti e recuperando quindi il giusto equilibrio. - Tu, piuttosto, ti sei fatta male?
    Apparentemente sembrava una monaca, o una sacerdotessa di qualche culto legato alla morte o alla decandenza, per via degli abiti scuri, ma poteva anche esserci una spiegazione differente.
    Clarisse si sistemò il sacco a tracolla con un piede, rimanedo in equilibrio con l'altro, mentre arrivava il fabbro, che pur avendo visto l'intera scena, si era mosso solo in quel momento.
    - Tutto bene? - Chiese senza riferirsi ad una delle due in particolare.
    - Grazie, nessun problema, solo un po' di polvere sul mantello, ma andrà via. Spero sia lo stesso per te? - rispose la mezza uoma rimettendosi il cappuccio in testa e sgranchendo un istant ele dita del piede prima di riposarlo a terra, nascosto dal lunghissimo mantello che mimetizzava la sua mancanza apparente di braccia.
    Un gatto nero si strusciò accanto alla ragazza che le era venuta addosso, probabilmente era suo ed era facile che il motivo della caduta fosse dovuto a lui. Clarisse strinse gli occhi per nascondere l'increudlità nella vista delle iridi lattiginose dell'animale.
    I suoi dubbi sulla ragazza aumentarono, o meglio, eliminò buona parte delle sue ipotesi.
    Ma la borsa sembrava intatta, non poteva averle rubato nulla in così poco tempo.
    - Ciao ancora, zio, e buona giornata anche a te. - disse, rivolta alla guantata figura.



    Fatto, Scusa. Ero in ballo anche con un altro GDR dove non c'è e ho fatto di fretta. Mi prostro umile servitore squittendo di vergogna.


    Edited by Alexander Gawain Stelson - 24/9/2013, 17:29
     
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  7. Silvia_M
     
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    alius
    Cristina;

    La ragazza contro cui si era scontrata si era rialzata con una mossa che apparentemente aveva dell'incredibile. doveva essere estremamente forte e allenata per potersi rialzare con un colpo di reni, senza alcun aiuto da aprte delle braccia come invece aveva fatto lei.
    Cristina rimase affascinata e spaventata allo steso tempo. In quegli anni aveva visto molte persone, alcune più strane di altre per via di tatuaggi o cicatrici di vecchie battaglie, ma una senza braccia...
    E che riusciva a fare cose come mettersi in equilibrio su un piede e usare l'altro per rimettersi il cappuccio in testa. Solo in maniera incoscia si era accorta che il piede che stava scendnedo di nuovo a terra era quasi totalmente ricoperto di acciaio, una sorta di armatura sottile e flessibile.
    - Sì, sì, sto bene, mi spiace tantissimo averti colpito, ma il mio gatto era scappato e così... - rispose lei abbassando gli occhi un po' per la vergogna, un po' per finire id vedere il piede toccare terra e sparire dentro il lunghissimo mantello. Con quello chiusi, la tipa davanti a lei sembrava esattamente normale come lei. Beh, quasi, visto che lei non era poi così normale.
    - Scrick, cattivo di un gatto, vieni subito qui e non scappare più. - intimò Cristina all'animale, che dopo averla osservata un paio di secondi e altri due passati a guardare la donna che si era rialzata, si mosse scodinzolando sornione verso la padrona, strusciandosi sulle sue gambe.
    Arrivò l'altra persona che era con la sconosciuta. Sembrava un fabbro, o un armaiolo, dall'aspetto, e non le sembrava totalmente umano. Era troppo basso e muscoloso per essere umano, probabilmente aveva sangue di nano nelle vene.
    - Tutto bene grazie, e mi scuso per il trambusto, non era voluto. - mormorò sinceramente vergognosa la donna, torcendosi incosciamente le dita guantate come una studentessa davanti a un professore che le aveva fatto una domanda a cui non sapeva risposndere. Si rivolse alla sconosciuta. - Posso sdebitarmi in qualche modo per l'accaduto? Davvero, mi sento in colpa.
    Mentre finiva la frase il suo stomaco brontolò decisamente, e le venne un'idea.
    - Ti offro qualcosa da mangiare ad una taverna. Non ho molti soldi, ma qualcosa posso offrirti. Io non ho mangiato, e visto l'ora probabilmente anche tu sarai affamata. Sono già stata a Tenar, so dove trovare cibo buono senza lasciarci un braccio in pe... - Si bloccò rendendosi conto che la sua frase non era esattamente delle più gentili nei confornti della donna, che forse non le aveva mai avute, forse le aveva perse in battaglia. - Cioè, volevo dire, senza pagarlo un occhio nella testa.
    Il suo gatto, che aveva approfittato del momento per saltarle sulla mano che aveva teso per prenderlo, usandola come trampolino per arrivare con un balzo alla sua spalla, si mise di nuovo ad osservare la persona che aveva davanti, mantenendo la cosa bassa ma muovendola continuamente, come a studiarla. Era estremamente lata rispetto a Cristina, tutta vestita di nero, una sorta di spettro nel luminoso dopopranzo della piazza, ma il volto che aveva visto prima non era cattivo, anzi, lo incuriosiva per via della pelle scura, che non aveva mai visto così. Aveva anche un odire strano, diverso dagli altri, un odore che lo incuriosiva, visto che assomigliava un po' a quello delle mani della sua padrona. Chissà se se ne era accorta anche lei.
    L'animale sembrò prendere le misure e spiccò un salto, con l'idea di atterrare sulla spalla o sul cappuccio della donna di fronte alla sua padrona.
     
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  8. Alexander Gawain Stelson
     
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    clarisse
    Clarisse;

    La monaca vestita di nero sembrava rivelarsi non quello che Clarisse temeva, ma probabilmente qualcosa di peggio, anche se una piccola parte di lei non era per nulla dispiaciuta.
    Credeva che fosse una ladruncola, anche se ad una seconda occhiata lei era la più giovane tra le due, ma forse il viso, forse il suo modo di atteggiarsi, la facevano sembrare molto più giovane. Era una bella ragazza, per quanto ne potesse capire la giovane, con dei lineamenti fini e il viso che ispirava fiducia, o almeno in quel momento era il sentimento che sentiva nel vederla.
    Era visibilmente imbarazzata, e il suo aspetto austero dato dal vestito mischiato con il comportamento stava creando non pochi problemi a Clarisse per non ridere, o almeno sorridere di lei.
    Ma la sua mente tornò agli cochi strani, inquietanti del gatto. Non era cieco come gli occhi potevano far sembrare, si muoveva in maniera troppo disinvoltaper essere un animale senza la vista, ma a questo punto non si psiegava lo strano colore, se non dovendo ricorrere ad ipotesi decisamente poco piacevoli.
    Sebbene non avesse mai visto esseri del genere, sua madre le aveva raccontanto di animali o anche persone che potevano tornare in vita dopo anche giorni o mesi dopo la loro morte, non più vivi ma rifiutati, o strappati da esseri malvagi, dalla morte. Forse quel gatto era uno di loro, sua madre parlava sempre di occhi lattiginosi e spenti. Ma quello avrebbe voluto dire che anche la monaca era una di quelle persone che sono in grado di far tornare alla vita i morti, ad una sorta di semivita orribile e pericolosissima.
    Eppure non poteva accettare la cosa, era sicura che non era così e c'era una spiegazione normalissima agli occhi del gatto. Probabilmente anche lo zio si era accorto della stranezza, ma non aveva detto nulla, per cui era una riprova che probabilmente o già la conosceva o perlomeno aveva già sentito di gatti così.
    - Tranquilla, non hai necessità di sdebitarti, può capitare a tutte di cadere o far cadere qualcuno. Nessuna... - si bloccò appena sentì distintamente uno strano quanto riconoscibile rumore provenire dalla ragazza.
    Non riuscì a trattenersi oltre. il comportamento da ragazzina della donna, che si stava torturando le dita come se volesse dislocarsele dalle mani, il suo sguardo basso e le guance leggermente rosse, unito al rumore dello stomaco che brontolava per la fame furono troppo anche per il compassato carattere della mezza uoma.
    Scossoni di risata le fecero tremare il corpo coperto dal mantello, mentre dopo il primo scoppio di risa si trattenne a stento stringendo le labbra.
    Uno dei pochi momenti in cui avrebbe voluto avere le mani libere per poter nascondere il suo sorriso agli occhi della donna che sicuramente si sarebbe potuta offendere.
    - Scusami, scusami davvero ma non ho potuto non sentire. - disse mentre an cora alcune risate si infilavano tra una parola e l'altra. - Come stavo dicendo, nessuna di noi due si è fatta male, sembrerebbe, e un po' di polvere sul mantello non è certo un problema, la spazzolerò quando potrò.
    Lei sembrò non essersela presa per lo scoppio di risa di Clarisse, e al contrario la guardò, sempre un po' apparentemente imbarazzata negli occhi, e le propose di pagarle il pranzo ad una taverna poco costosa, sebbene effettivamente la sua scelta delle parole lasciasse un po' a desiderare.
    Clarisse le diede ancora il beneficio del dubbio, era certa che non avesse voluto rimarcare la sua assenza di braccia in modo cattivo.
    - Devo comunque ricordarmi che non sono loro quelli cattivi, sono io che sono strana. - pensò mentre osservava il gatto, Scrick lo aveva chiamato, saltare sulla mano guantata della padrona e da lì alla spalla. - Non tutti i giorni si vede una donna semza braccia, oltretutto con la flessibilità che ho io, e sicuramente non si aspettano di vedere che non do peso alla cosa, come se fossi nata in questo modo. Sì, forse va anche bene se mi credono indifesa e senza braccia davvero, non c'è un vero motivo per dover dire che le mie sono legate dietro la mia schiena in una poszione che probabilmente molte direbbero essere scomoda e dolorosa, e a cui do ragione. Nel mio caso l'allenamento, i giorni interi passati senza l'uso delle braccia e delle mani e credo anche il fatto di essere per metà uoma maga mi aiuta a non sentire dolore, anzi trovo la posizione quasi rilassante per le spalle, oltre al fatto che sono decisamente impettita e quasi autorevole.
    Presa nei suoi pensieri anche se solo per alcuni momenti, non si accorse che il gatto aveva deciso di lanciarsi verso di lei, atterrandole leggero sulla spalla, artigliando senza farle male la stoffa del mantello mentre le girava dietro il collo, finendo con le due zampe anteriori sulla spalla destra e le due posteriori sulla spalla sinistra.
    Sorrise e rimandneo in equilibrio, spostando il tronco in diagonale per mantenersi salda solo sul peide destro, sollevò il sinistro sopra la sua testa per accarezzare delicatamente il'animale lungo la schiena.
    - Ciao, piccolo. Sembra che ti piaccia cacciarti nei guai, eh? - sorrise. - Grazie, accetto volentieri, ma ho già mangiato, per cui ti ruberò solo da bere. Io conosco una taverna qua vicino, ci andavo con mio padre. Non è esattamente la migliore al mondo, ma si mangia bene e non si spende molto. E' vicino al porto, lontana dai bassifondi, lungo una traversa della via principale per i moli. Se ti va bene, posso fare strada, e sono certa che anche il tuo amico sarà contento e ci aiuterà a trovare la strada giusta se ci perdiamo.
    Era stato uno dei clienti abituali di suo padre ad avergli spiegato come arrivare alla taverna "La birraccia". Era un vecchio marinaio senza un occhio, perso ogni volta che la raccontava in un modo diverso, da una caccia ad una balena a un colpo di magia di una strega dei mari fino a uno scambio con un vecchio saggio per avere soldi illimitati. Era uno di quei lupi di mare dalla pelle come il cuoio e le rughe profonde come solchi di aratro nella terra, ma era un bonario, e anche se con mani pesanti e callose ocme quelle di un troll, aaccarezzava sempre la testa di Clarisse come un vecchio nonno, finchè era abbastanza bassa, poi aveva solo iniziato a guardarla dal basso verso l'alto e a fischiare ogni volta di meraviglia e sopresa per come cresceva bene, dandole epiteti come sirena incantatrice e gemma dei mari. Suo padre rideva e gli faceva un piccolo sconto. La taverna era poco visibile, ma i clienti abbondavano, visto che il passaparola era per il padrone meglio di una buona posizione lungo la strada. Bisognava andare verso i moli, lungo la strada principale che sbucava al porto, una fiumana ininterrotta di merci e persone, ma alla statua detta dell'Ignota, visto che il tempo aveva corroso il volto della figura femminile, bisognava girare a sinistra alla seconda viuzza, seguendo la stradina apparentemente senza uscita, che invece voltava varie volte fino ad arrivare ai bassifondi, se la si fosse seguita. Ma "La Birraccia" era a una decina di metri sulla destra dopo aver abbandonato la strada principale. Una porta rossa ormai scrostata dopo tre scalini verso il basso, un'insegna simile in colore e manutenzione come la porta dove a malapena si riusciva a intravedere il disegno in giallo e nero di un boccale pieno di birra schiumosa e un incessante brusio proveniente dall'interno erano gli unici indizi della locanda. Dentro, Clarisse si ricordava un posto fumoso, l'odore di tabacco da pipa che impregnava il legno delle pareti, del soffitto e dei tavoli, le sedie spaiate e spesso aggiustate con pezzi vari di legno come se fossero state barchette riattate alla bene e meglio, un proprietario abbastanza corpulento, sempre sudaticcio e con mani imponenti, ma simpatico e chiachcierone. Avevano all'epoca dell'ottimo cibo, in buone quantità e a prezzi modici, e con quello che in una taverna del centro bastava a malepan per uno, là mangiavano lei e suo padre e ci stava anche un piccolo bis di birra scura se la giornata era stata buona per gli affari.
    - Sperando che non sia cambiato nulla negli ultimi due anni. - borbottò mentre aspettava un'eventuale risposta affermativa o una controproposta dalla donna di fronte a lei.


    So già che tu dirai di sì, ma ti lascio la palla così vediamo come te la cavi a descrivere ocme ci arriviamo alla taverna.

    Silvietta ha contattato Cloud, alla taverna se vuole dovrebbe entrare anche lui nella role, se non ci sono problemi.
     
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  9. Silvia_M
     
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    alius
    Cristina;

    Cristina aveva chiuso gli occhi spettandosi un altro disastro per colpa del suo gattaccio. Non sapeva che cosa gli fosse preso, era sempre stato tranquillo, ma in quegli ultimi giorni, da quando era tornata nella zona di Tenar, sembrava avere addosso l’argento vivo.
    - Anche se mi domando cosa voglia dire, visto che non ho mai visto dell’argento morto... – pensò un pezzettino del suo cervello mentre aspettava l’urlo della donna di fronte a lei o il gatto miagolare per qualsiasi altro motivo gli fosse venuto in mente.
    Invece sentì la sconosciuta parlargli e così riaprì gli occhi, vedendola sorridere.
    Il cuore tornò a batterle.
    Ascoltò la proposta della donna e annuì felice.
    - Grazie, sei davvero gentile, e sono più che sicura che la locanda sarà perfetta. E se per caso ti venisse fame mentre ci arriviamo, la mia offerta è sempre valida. Ah, che sbadata, almeno dovrei presentarmi. Mi chiamo Cristina, molto piacere. – le disse allungando la mano destra guantata, per poi fermarsi un secondo e arrossire. – Occavolo... – mormorò ritirando immediatamente la mano. – Oggi non è la mia giornata.
    Saputo dalla donna che si chiamava Clarisse, le due si incamminarono verso il porto, con Clarisse che faceva da guida e lei che la seguiva. Era una zona che conosceva sì, ma non così approfonditamente come sembrava conoscerla la sua compagna di viaggio, benché breve visto che andavano solo ad una locanda a un quarto d’ora di strada a piedi.
    Si meravigliò della facilità con cui la donna, nonostante la sua menomazione, completamente invisibile sotto il lungo e coprente mantello, si muovesse e si comportasse. Aveva già avuto modo di stupirsi dell’agilità e delle capacità di contorsione dell’altra, e pensò lungo la strada se come lei aveva perso gli arti dopo essere nata o se era nata così. Sembrava essere perfettamente abituata, e sicuramente allenata per poter fare quelle contorsioni. Anche i calzari che le aveva visto indossare erano stranissimi, non ne aveva mai visto, ma sicuramente erano perfetti per lei. Chissà come faceva a vivere? Sembrava una avventuriera, non certo una moglie di qualcuno che la potesse accudire.
    Voltarono in una stradina per poi immettersi nella via principale che portava al porto. Come ogni volta la scena fu splendida e caotica allo stesso momento. File di carri, carretti, persone con delle sacche in spalla andavano e venivano in una sorta di caos che aveva comunque una sua strana e inspiegabile logica, dove persone di ogni età e razza si accalcavano in tutte e due le direzioni per andare ad imbarcarsi o al contrario per vendere ciò che avevano acquistato da altre parti o pescato. Oppure solo per fare un giro nella città, spendere i loro soldi e poi tornare a cercare lavoro alle navi.
    Lei era figlia di un pescatore, conosceva le barche e le navi, le reti e i pesci, ma non s sarebbe mai sognata di salire su una barca per lavorarci. A parte i suoi gusti personali, c’era poi il vecchio detto che una donna su una nave portava sfortuna, sebbene tale detto fosse dimenticato facilmente quando si mostravano abbastanza soldi per la traversata. Si sapeva che i marinai non avessero tanti soldi, eppure le bettole e le taverne erano piene solo di gente come loro.
    Schivò un uomo grande e grosso che barcollava sotto il peso di un enorme cesto di vimini pieno di oggetti metallici e di legno, probabilmente pezzi che dovevano essere venduti agli artigiani per essere completati, e si infilò sulla sinistra seguendo la sua compagna, che faceva anche da culla per il gatto, ormai appropriatosi delle spalle di Clarisse.
    Arrivarono davanti ad una porta alcuni minuti dopo, in una via piccola, parzialmente buia per via delle costruzioni schiacciate una contro l’altra. Era l’entrata di una taverna. Tre scalini rendevano l’entrata un po’ vecchio stile, come le taverne di certi luoghi un po’ fuori dal tempo che aveva visitato. La donna senza braccia si era messa di lato, e Cristina decise che era un silenzioso invito ad aprire la porta, cosa che fece, quasi immediatamente accolta da un forte odore di fumo di tabacco e dal calore di troppa gente ammassata in uno spazio piccolo.
    - La tipica taverna da porto... – mormorò entrando e chiudendo la porta dietro le spalle della sua compagna.
    Il barista, un omaccione con un occhio solo, le guardò per un secondo, come a capire se erano pericolose per il suo locale, quindi fece segno con la testa di accomodarsi ad un tavolo sul fondo.
    Si erano sedute e Cristina stava aspettando di sapere da una delle due cameriere che giravano tra i tavoli portando vino, birra e cibo, oltre che a dispensare sberle a chi allungava troppo le mani, cosa potesse ordinare con le sue scarse finanze.
    Scrick sembrava quasi addormentato, una sorta di stola vivente attorno al collo della donna, ma improvvisamente, forse udendo qualcosa che esisteva solo nelle sue orecchie alzò il muso, si guardò in giro e con un movimento aggraziato che solo i gatti potevano fare saltò a terra e schizzò via tra i tavoli, subito perso di vista da Cristina.
     
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  10. ~Cloud Sanders ~
     
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    CloudStrife_zpsb8f87798
    Cloud;
    Alcuni uccellini stavano cinguettando davanti alla sua finestra, ma Cloud ci aveva guardato solo per un'attimo. Amava osservare la natura, mescolata e adattatasi alla vita umana, ma quello non era il momento giusto per quello. Era nella sua nuova casa a Tenar, una casetta al secondo piano vicino al centro della città. Il rumore era elevato, ma a Cloud bastavano solo quegli uccellini che ogni giorno si posavano li vicino alla finestra per fargli dimenticare di essere in una città commerciale e non più sulla sua isola. Era passato un bel po' di tempo da quando se n'era andato col capitano Arthur Cordels dalla sua isola ed era attraccato a Tenar, e oramai la conosceva molto bene. Non si era mai pentito di aver scambiato la sua casa con quella a Tenar, ma in tutto il tempo che aveva girato per la città, non aveva ancora incontrato un maestro di spada che potesse insegnargli qualcosa di nuovo o aiutarlo. " Temo di essermi allenato troppo da solo " aveva pensato più e più volte, dopo aver battuto al primo tentativo il maestro di quel giorno, ogni volta che ne trovava uno. Ma non si era perso d'animo. Fino ad oggi almeno. Era già da qualche tempo che pensava di abbandonare Tenar per cercare maestri da altre parti, ma ogni volta aveva sempre rimandato. "Il denaro..." si ripeteva sempre. E in effetti, era vero. Benchè non fosse povero, non aveva neanche abbastanza soldi per un viaggio fino a chissà dove da solo. Le compagnie erano per lo più compagnie commerciali con già guardie del corpo sufficienti e non avevano posto per lui "Sarà per un'altra volta" si era spesso sentito dire. Ma un'altra volta non c'è mai stata. Per il denaro aveva fatto parecchi tipi di lavori, dal cameriere al cuoco(con scarsi risultati), aveva pulito stalle e lavorato per un fabbro. Ma non aveva mai guadagnato abbastanza. Con quei lavori era sempre riuscito a malapena a non toccare i suoi risparmi, mangiando con quello che guadagnava. Avrebbe potuto diventare un soldato o una guardia, ma non voleva perdere la sua indipendenza come persona, ragion per qui aveva rinunciato. " E la paga non è neanche un gran che..." pensava per auto-convincersi. Però era stufo di quella situazione. Tirando la cinghia, Cloud era riuscito ad accumulare una piccola somma per spostarsi, ma non sapeva neanche lui con certezza dove andare. Le poche informazioni che aveva trovato parlavano degli elfi, ma il problema con loro sarebbe stato comunicare. Lui non conosceva neanche una parola di elfico. Inoltre, a quanto gli avevano detto, raramente allenavano non-elfi. Un'altro problema erano le vaghe informazioni in suo possesso sul dove trovarli. Nessuno lo sapeva, e probabilmente i pochi che lo sapevano stavano con la bocca ben sigillata.Ora però forse aveva una traccia. Alcuni testi parlavano della loro possibile presenza vicino alla valle del Led, ma non aveva la minima idea se quelle informazioni fossero affidabili o aggiornate. Ma erano il suo unico indizio, e doveva provarci. Dopo qualche giorno di preparativi, conti e ragionamenti, aveva deciso di partire. Quella mattina, proprio mentre gli uccellini cinguettavano,Cloud stava preparando il materiale per il suo viaggio. Non aveva intenzioni di abbandonare quella casa. Voleva utilizzarla come campo base per i suoi futuri spostamenti, letteralmente una "casa dove tornare". Dopo il risveglio un po' brusco a causa di un carro davanti a casa sua che si era rotto e aveva fatto cadere tutti i suoi prodotti, Cloud aveva fatto una buona colazione con uova e pane e aveva buttato tutto il suo materiale sul letto in camera sua, materiale che stava osservando , ponderando su quali portare e quali no. Sul letto vi erano poggiati lo zaino vuoto, la sacca contenente i soldi, tutti i suoi risparmi, la giacca che portava sempre con se ripiegata con cura, del cibo e dell'acqua, una mappa e i due dadi che Cloud portava sempre con se. La spada era invece poggiata al muro, in tutto il suo splendore. Curata in ogni dettaglio e, ovviamente, lucidata per l'occasione. Il suo spessore non la faceva pensare ad una spada, sempre che non si osservasse la lama da un solo lato e la punta estremamente affilata. Sotto di lei, vi era una pietra cotè. Raramente Cloud si era trovato ad affilarla, in quanto quella lama paresse non averne bisogno. Il filo era sempre perfetto e Cloud non era ancora riuscito a capire come fosse possibile. "Allora" disse ad alta voce per ragionare sul da farsi " Questi li porto tutti. I soldi invece..." Cloud non amava tenere tutte le "uova nello stesso paniere", quindi aveva deciso di dividere il denaro in due quantità uguali, uno da portarsi dietro, gli altri da lasciare a casa, così quando sarebbe ritornato, almeno avrebbe avuto dei soldi per mangiare, sempre nel caso che gli avesse finiti o non avesse trovato un guadagno. Ma in quel caso, ci sarebbero stati dei grossi problemi per ripartire da Tenar. Si sedette in un angolo libero del letto e si mise a contare i soldi. Ne fece due mucchi perfetti, nascondendone uno sotto il materasso del letto. "Nessuno dovrebbe entrare, ma non si sa mai..." Poi si mise a mettere con ordine e criterio, il materiale nello zaino. Una volta sistemato il tutto, si legò la cintura in vita, indossò lo zaino e chiuse le finestre. Gli uccellini oramai se n'erano andati. Chissà se quando tornerò ci saranno ancora... si ritrovò a pensare. Era il momento di andare. Chiuse la porta dietro di se con la chiave per poi dirigersi verso la casa del capitano Cordels . Qualche giorno dopo essere approdato, aveva scoperto che il capitano Cordels, colui che lo aveva portato a Tenar, aveva venduto la barca e aveva deciso di rimanere li con la moglie, lavorando al porto dove vendeva il pescato dei colleghi. "Dopo tanto commercio, voglio solo riposarmi a dovere" Certo, lavorare vendendo il pesce non era forse il modo migliore, ma il capitano era fatto così. Non aveva ancora scoperto da dove venisse, e non voleva chiederglielo. Era praticamente diventata una sua sfida. Il capitano abitava dalle parti del porto, insieme alla moglie,e Cloud era diretto là. Gli aveva chiesto se nella sua assenza poteva tenere le sue chiavi di casa, e il capitano aveva accettato di buon grado. Quando fu davanti alla sua casa, non fece neanche in tempo a bussare che il capitano gli aprì.
    "Cloud! Ti stavo aspettando!" Disse Cordels immediatamente aprendo la porta e stringendolo in un'abbraccio da cui era difficile divincolarsi "Salve Capitano" Si limitò a dire Cloud sorridendo all'espansività di quell'uomo "Come si fa a non volergli bene?" si era chiesto Cloud spesso, quando il Capitano gli raccontava delle sue gesta in gioventù. "Le ho portato le chiavi di casa" disse porgendogli la chiave della porta. Il capitano la prese con un gesto veloce, sempre sorridente, dicendo "Vuoi entrare? Ho ancora della birra in casa!" Cloud si limitò a rispondere con un semplice no. La birra che beveva il capitano era veramente di pessima qualità. Ma come diceva spesso quando Cloud glielo faceva notare: "Se non sono morto in guerra, che vuoi che mi faccia una birra??" Lo sguardo del capitano mutò in un momento.
    Gli disse: Stai attento Cloud. Tu sei abile, ma fuori da quì il mondo può essere terribile e spietato. Fidati di meno gente possibile Cloud annuì serio e ringraziò il capitano con una semplice pacca sulla spalla, poi si girò e ritornò sulla strada. Quel parlare di birra col capitano, mentre lui stava chiudendo la porta, gli aveva fatto venire sete. "Qual'è il posto più vicino, magari anche decente?" si ritrovò a pensare.
    Poi gli venne in mente il posto preferito del Capitano, La Birraccia. A pensare al nome, sorrise. Rispetto ad esso, la loro birra era una delle sue favorite. Decise che quella sarebbe stata la sua meta. Non era proprio in vista, ma la gente del posto la conosceva bene. Poco costosa e ottima. Decise quindi di passarci prima di partire.
    Il porto era come sempre un luogo caotico e disordinato. Bancarelle con sopra il pesce fresco e non solo sembravano quasi circondarlo. Mentre camminava, si domandò se fosse tutto dei pescatori di Tenar o se qualcosa venisse anche dalla sua isola. Nonostante i genitori pescatori, come di uso comune sulla sua isola, non si era mai interessanto particolarmente a quella vita. Anche delle barche. Non gli piaceva navigare. Preferiva avere i piedi per terra. Era esattamente, insieme al nonno, la pecora nera della famiglia. Le bancarelle e le loro mercanzie passarono veloci. Poco dopo vide finalmente il cartello del pub. Mentre si avvicinava sentiva sempre di più il rumore provenire da dentro.
    "Come sempre..." pensò.
    Finalmente aprì la porta. All'interno era veramente pieno di gente, di tutti i tipi. "Fortuna che non fa pubblicità" pensò accennando un mezzo sorriso. Fortuna volle che ci fosse un tavolo in un angolo del pub. Mentre si avvicinava al tavolo, l'odore di birra lo avvolse completamente. Avendo diviso il suo "patrimonio" prima di uscire, non voleva spendere troppo, per non ritrovarsi in crisi durante il viaggio.
    Ma per un paio di birre non dovrei avere problemi.
    Finalmente, dopo aver quasi fatto cadere una cameriera e aver spinto per sbaglio alcune persone ( Il fitto era veramente notevole) raggiunse il tavolo. Prima che la cameriera lo notasse sarebbero passati alcuni minuti. Ma proprio mentre stava per scegliere quale tipo di birra ordinare, intravide un'animale girovagare tra i tavoli. Quando si girò per osservarlo meglio, notò che era un gatto. Uno splendido esemplare per giunta, nonostante non ne conoscesse la razza. Cloud notò che il gatto lo puntò con determinazione, per andarsi a infilare sulla sedia davanti a lui. A quel punto lo fissò.
    Lo sguardo di quel gatto era gelido e caldo allo stesso tempo.
    "No, non sei un gatto comune. Ti sei perso piccolo?" disse rivolto al gatto, come se si aspettasse una risposta da un momento all'altro. Cloud si alzò per tirare più indietro la sedia scelta dal gatto.
    "Così starai più comodo. Resta pure finchè vuoi, non mi dai fastidio " e sorrise, con un sorriso che riservava solo agli animali. Un sorriso tranquillo, calmo e rilassato.
     
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  11. Alexander Gawain Stelson
     
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    clarisse
    Clarisse;

    La sconosciuta si presentò come Cristina.
    A Clarisse risultò simpatica, sembrava una ragazzina alle prime armi, e non si offese per la mano allungata verso di lei.
    - Clarisse, il piacere è tutto mio. – rispose con un sorriso inchinando leggermente il capo. – Allora visto che è deciso, ti faccio strada per la taverna “La Birraccia”.
    Il percorso che portò Clarisse e Cristina alla locanda fu veloce e praticamente privo di intoppi, considerando comunque che dovettero attraversare parte della città di Tenar e percorrere parte della via principale che collegava il porto alla città stessa, quindi equivaleva a una sorta di risalita di fiumi da parte di salmoni, visto che non importava l’ora del giorno o il punto in cui si immettevano nel flusso di persone, sempre avrebbero trovato gente che veniva loro contro, carretti che occupavano spazio e cavalli che tentavano di muoversi in mezzo alla folla con loro visibile disagio, sempre pronti ad imbizzarrirsi per un nonnulla.
    Giunsero comunque nel vicolo che le avrebbe portate alla taverna, e dopo alcuni metri i tre scalini che scendevano sotto il livello del manto stradale, un pavimento in lastre irregolari di pietra bianca unite con sottili linee di terra ormai ripiene di erba secca, piccoli muschi e altro, comparvero sulla loro destra. La porta se la ricordava meno scrostata, ma era passato del tempo,.
    La sua nuova compagna di viaggio, per quanto si potesse considerare viaggio quello da loro fatto dalla piazza alla locanda le aprì la porta, forse per gentilezza, forse per evitare di farle notare la sua assenza di braccia.
    - Non che abbia problemi ad usare i piedi. – pensò mentre varcava la soglia e il caldo e il rumore la investivano. – Ma meno do nell’occhio meglio è.
    Spostò lo sguardo verso il bancone dove il proprietario, più vecchio e canuto, stava trafficando con boccali e altro. Lui alzò lo sguardo, attirato dal cigolio della porta che nonostante il chiasso il suo orecchio probabilmente aveva imparato a percepire in automatico e le squadrò un attimo da capo a piedi, per poi indicare con un cenno quasi poco cortese del capo un tavolo sul fondo appena liberatosi. Non badò se avevano visto o meno il gesto, tornando immediatamente a dedicarsi a spillare un boccale di birra scura, probabilmente per un gruppo di tre nani seduti poco lontano, chiassosi sopra il livello medio.
    Le due si sedettero e con un colpo del capo all’indietro Clarisse fece scendere sulla schiena il largo cappuccio. Forse per quel motivo, forse perché attirato da qualcosa che solo lui poteva sentire, il gatto di Cristina saltò via dal suo collo, dove si era accoccolato come una sorta di collo di pelliccia caldo e pesante.
    Atterrò senza alcun rumore sul pavimento di cotto scuro e usurato e sparì ad una velocità incredibile sfrecciando tra i tavoli, subito perso di vista dalla donna.
    La cameriera era arrivata e aveva chiesto ad entrambe cosa prendessero.
    - Io un boccale di chiara del Led. – rispose subito Clarisse, per poi alzarsi e muoversi nella direzione in cui era fuggito il gatto. – Non ti preoccupare, Cristina, vedo di recuperarlo io, tu mangia tranquilla. La locanda non è grande, sono certa che non è andato lontano.
    Senza aspettare una risposta la donna si mosse veloce tra i tavoli, cercando segni della bestiola.
    - Decisamente ha una forte tendenza a sparire e forse a cacciarsi nei guai. O è un motivo diverso, forse legato agli occhi così particolari dell’animale? Per quanto mi stia simpatico, trovo quegli occhi inquietanti... – pensò mentre osservava il pavimento in cerca del gatto.
    Mentre continuava la sua ricerca, vide con la coda dell’occhio un uomo, un biondo vestito di scuro, alzarsi e poi risedersi quasi subito, dopo aver spostato una sedia.
    - Scrick! – disse con un sibilo Clarisse vedendo il gatto bellamente appollaiato sulla sedia spostata dallo sconosciuto.
    Velocemente camminò fino ad essere di fronte al gatto.
    - Scrick, brutto furfantello! Oggi è la seconda volta che scappi alla tua padrona, non si fa! – lo rimproverò bonariamente. – Forza, è ora di andare, scommetto che una ciotola di latte ti aspetta al tavolo.
    L’animale sembrò osservarla per alcuni secondi, immobile se non per la coda che si muoveva sinuosa e lenta, quindi spiccò un salto, si arrampicò con gli artigli ficcati nello spesso mantello fino al suo collo e si accoccolò nuovamente sulle sue spalle, come aveva fatto prima, il corpo piegato a U dietro il collo di Clarisse, la testa sulla spalla sinistra, la coda a sbatacchiare lenta su quella destra.
    - Bravo micetto. – gli disse, per poi voltare la faccia verso lo sconosciuto. Era un bel ragazzo, più o meno delal stessa sua età, con occhi azzurri molto affascinanti e lo sguardo di chia ha già combatutto molto o ha visto brutte cose nelal sua vita. La spada che aveva con sè lo etichettava come guerriero, o comunque perlomeno come combattente principalmente ocn la spada. – Spero che non le abbia dato fastidio.
     
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  12. Silvia_M
     
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    alius
    Cristina;

    Clarisse si alzò e si mise a cercare il gatto della ragazza che era fuggito poco dopo che erano entrate nella locanda. Aveva ordinato, come aveva detto quando aveva accettato il suo invito per sdebitarsi della botta, solo da bere, una birra leggera, leggermente furttata, non molto alcolica.
    - Probabilmente non le piacciono i sapori forti, oppure preferisce rimanere perfettamente sobria. - pensò mentre la cameriera, una domma sulla trentina di anni, capelli neri arruffati e raccolti alle bene e meglio in una sorta di parodia di chignon sulla testa e vestita con un abito semplice di cotone nei toni del rosso e del bianco le elncava quello che poteva mangiare o bere.
    Non c'era molto, ma non desiderava molto, così decise per un piatto di formaggio e delle verdure che richiese espressamente lavate ma crude, e anche lei prese una birra chiara del Led. Amava i sapori un po' forti, ma doveva anche esserci l'occaisone per una bevuta. aggiunse all'ultimo momento, quasi dimenticandosene prima, una ciotola di latte per il suo gatto.
    - Forse lo sarà tra qualche tempo, chissà, magari oggi nasce una amicizia. - sorrise pensandolo.
    Si abbassò il cappuccio sul collo, ma dopo un minuto nemmeno decise che era troppo caldo per tenere su anche il mantello, così lo slacciò e lo piegò sullo schienale della sedia dove era seduta.
    Era sicura che chi la guardava avrebbe rivolto un secondo sguardo su di lei, non certo per la bellezza mozzafiato che era ma per la sua somiglianza con le sacerdotesse di un culto non molto ben visto dal popolo, considerate portasfortuna. Aveva deciso per quell'abito alcuni tempi prima, scoprnedo che nessuno faceva domande sul suo abbigliamento o su altri suoi particolari, spesso spaventato o comunque intimorito dal suo aspetto. Era un bene per lei, se si ricordavano di una sacerdotessa di un qualche oscuro culto invece che di una avventuriera che era in grado di manipolare gli oggetti.
    Mentre aspettava il cibo si guardò intorno alla ricerca della sua compagna di pranzo, e non ebbe difficoltà a trovarla, alta come era. anche lei sembrava un po' tetra e minacciosa per via dell'altezza e del lunghissimo mantello nero, ma era la sua assenza di braccia che l'aveva lasciata davvero sconvolta.
    La vide quasi subito, vicino ad un tavolo occupato da un ragazzo biondo anche lui vestito di scuro. Ad occhio sembrava un guerriero, le sembrava di vedergli una spada vicino, e sicuramente non era di Clarisse.
    Si concnetrò un attimo, chiundendo gli occhi e iniziando la litania mentale che si era inventata per poter entrare in contatto con il suo gatto. Non le serviva un contatto completo, la trasmigrazione, come la chiamava lei, ma solo una osrta id controllo di dove fosse. Iniziò a sentire quello che sentiva lui e a vedere quello che vedeva lui, e si ritrovò sulle spalle di Clarisse.
    Staccò il contatto, era al sicuro, proprio mentre la cameriera portava i due boccali di legno ornato di face metalliche in cima e sul fondo contenenti la birra, coperta da una abbondante e leggera schiuma color avorio, che nella luce della locanda aveva assunto uno strano color osso scuro che le fece tornare alla mente brutti ricordi.
    La donna la avvertì che per il formaggio e le verdure ci volevano ancora alcuni minuti.
    - Nessun problema, grazie. - rispose lei, per poi afferrare i due boccali e spostarsi verso il tavolo dove aveva visto Clarisse.
    Arrivò quasi subito, erano passati pochi secondi da quando la camperiera aveva lasciato il tavolo, e Cristina riuscì a sentire una frase di Clarisse, che chiedeva all'uomo se il gatto gli aveva dato fastidio.
    - Non vi vedevo più, sono venuta a cercarvi, tu e il combinaguai. - sorrise quando fu a meno di un metro dal tavolo. - Spero davvero che non abbia fatto casini, non saprei come ripagarli.
    Si voltò verso l'uomo, al momento seduto ad una delle spaiate sedie del tavolo.
    - Sembra che oggi ci sia un ritrovo di gente vestita di scuro. - buttò lì la battuta. - Forse è quello che attira Scrick.
     
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  13. ~Cloud Sanders ~
     
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    CloudStrife_zpsb8f87798
    Cloud;
    Nel pub, il rumore era veramente notevole. Un'altra cose che lo sorprese di quel gatto era il suo comportamento. Dalle sue osservazioni in natura, Cloud sapeva che in caso di forti rumori, un animale tendeva ad andarsene via. Quell'animale invece non sembrava avere problemi di sorta, anzi. pareva contento di trovarsi li dentro con tanta gente attorno.
    "Che animale interessante" si ritrovò a pensare Cloud "Il suo comportamento sarebbe da osservare costantemente. Chissà se è randagio o ha un padrone." La risposta non si attendere. Il gatto stava osservando ancora Cloud, con uno sguardo tra l'affamato e stanco, quando una ragazza si avvicinò al suo tavolo. La ragazza, con capelli castani, lunghi, e occhi castani, aveva un portamento elegante. Tuttavia, vi era un dettaglio che Cloud non riusciva a collegare. Mentre ci pensava, fece cenno alla cameriera, che aveva già visto altre volte, di portargli la solita birra, poi si riconcentrò sulla ragazza. Solo quando ella parlò, richiamando il gatto, si accorse del dettaglio mancante. Gli mancavano le braccia. "Curioso" Si ritrovò a pensare Cloud. Si ritrovò a ripensare la stessa frase quando vide il comportamento del gatto, quando si "stese" attorno al collo della ragazza
    "Comportamento a dir poco curioso e inusuale"
    La ragazza gli parlò, chiedendogli se il gatto gli aveva dato fastidio. Cloud scosse il capo dicendo:
    "Nessun fastidio. Un animale non può dare problemi, solo se spaventato o in pericolo. E non mi pare che questa fosse la situazione." Mentre diceva quelle parole, un piccolo sorriso nacque sul suo volto. Il suo tono era un tono deciso, ma non aggressivo, come se fosse stato un insegnante mentre spiegava nozioni sulla vita animale. Dietro la ragazza, se ne stava avvicinando subito un'altra. La cameriera nel frattempo era passata per portargli la birra e Cloud non se n'era accorto. La ragazza, avvicinatasi, stava portando due boccali di birra. Da quel dettaglio, Cloud intuì che probabilmente erano insieme. Ne ebbe la conferma quando la sentì parlare con la ragazza arrivata precedentemente. La nuova ragazza fece una piccola battuta, ma Cloud non ci fece particolarmente caso. Si limitò a dire:
    "Ai gatti piace girare. Non sarebbe un gatto se non lo facesse." Poi aggiunse, riguardando i due boccali che la ragazza portava:
    "Se non avete un tavolo, potete aggiungervi al mio "
    La ragazza nuova era non poco differente da quella arrivata prima. Se la prima gli era parsa elegante e decisa, questa, soprattutto dalle parole e da come si esprimeva, gli pareva più impacciata e timorosa. Cloud si alzò in piedi per tirare ulteriormente indietro le due sedie vicino al suo tavolo. Guerriero o no, la cavalleria non andava mai persa. Si risedette sulla sua sedia, spostando e sistemando la spada per evitare che cadesse e si mise a sorseggiare con calma la birra che oramai stava perdendo la sua schiuma.

     
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  14. Alexander Gawain Stelson
     
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    clarisse
    Clarisse;

    Il ragazzo rispose in modo pacato e tranquillo alla sua domanda, che era stata più di cortesia che reale. Era certa che il gatto, essendo rimasto pochi secondi con lo sconosciuto, non poteva avergli dato fastidio. Inoltre le sembrava di aver visto che il ragazzo stesso aveva spostato la sedia per farlo stare più comodo, ma non ne poteva essere certa, magari aveva solo spostato la sedia per essere più comodo e Scrick ne aveva approfittato.
    Lei era rimasta in piedi, con il gatto messo sulle sue spalle, il lungo mantello a coprirle totalmente il busto, decisamente troneggaidno sullo sconosciuto che era seduto, una birra sul tavolo. apparentemente lo stesso tipo della sua.
    - Chissà se è già arrivata al tavolo? - si chiese mentre scrocchiava il collo leggermente, muovendolo verso la spalla prima sinistra, poi destra.
    - Dubito che questa piccola pantera in miniatura si possa spaventare, per il poco che lo conosco. - disse con un mezzo sorriso, più una smorfia sebbene non in fare ironico o canzonatorio.
    Si era resa conto che da quando era morta sua madre raramente rideva di gusto, anche se quel giorno le era successo. Cristina era particolare, apparentemente cupa, ma le ricordava tanto una bimba piccola, con quel suo modo di fare così aperto e così in contrasto con il suo aspetto fisico.
    Era anche incuriosita dai lunghi guanti, non erano un accessorio così comune se non per i nobili, e lei non sembrava esserlo.
    - Certo che parli tu che hai su uno strumento che molti riterrebbero di tortura per le braccia. - si ritrovò a pensare.
    Il ragazzo aggiunse qualcosa, ma non lo sentì del tutto, persa nei suoi pensieri, quindi la voce di Cristina la riportò alla relatà.
    Era arrivata anche lei al tavolo dello sconosciuto. Apparentemente aveva preso anche lei la birra chiara del Led, a giudicare la schiuma che velocemente stava svanendo, al pari di quella del ragazzo.
    - Tranquilla, non te lo rubo di certo. Ma tu, niente cibo? Mi parevi affamata, e sicuramente la stola di pelliccia qui al mio collo non si accontenterà di un p' di birra, sempre che la beva.
    Sentì la sua compagna di viaggio tra la piazza e la locanda fare una pessima battuta sul modo di vestire non tanto suo, uanto del ragazzo, che sembrò o non aver capito o più facilmente, visto lo sguardo attento che sembrava avere. Lo osservò un attimo ancora, cercando di vedere se riusciva a scoprire qualcosa di lui, ma non aveva note particolari, non le era sembrato avesse nessun accento riconoscibile, e anche gli abiti non le dicevano nulla di che. Era un guerriero, quello di certo, la apsada era inequivocabile, ma non vedeva su di lui o vicino a lui scudi o armature di sorta.
    - Forse un mago di difesa come me? - si chiese, ma una parte di lei aveva già escludo l'ipotesi. Sembrava più uno abituato a basarsi sulla forza e sulla prestanza fisica, intesa anche come velocità, che su parole magiche e rune. Aveva visto un mago guerriero solo una volta lì a Tenar, anni prima, e non era decisamente come lui.
    Sentì la sua proposta.
    Era stato gentile, dopotutto erano due sconosciute al tavolo di un terzo sconosciuto, ma sentì che quel giorno la sorte si era messa in mezzo e forse le stava regalando l'inizio di qualcosa di più grande che una semplice giornata.
    - Accetto volentieri, anche se un tavolo lo abbiamo. Credo che essere in due o essere in tre non cambi molto, o meglio, magari ci si fa un po' compagnia. Se sei qui o stai per imbarcarti o sei appena sbarcato, ma non hai la faccia di uno che si è fatto vari giorni in mare, quindi desumo che stai per partire alla volta di qualche posto dove potrai trovare un lavoro o comunque renderti utile. Come quello che vorrei fare io. - gli disse Clarisse sedendosi sula sedia lasciata libera da Scrick.
    Incrociò le lunghe gambe, la sinistra sopra la destra, in maniera femminile, così che il mantello si aprì aprzialmente al centro cadendo ai lati e mostrando le gambe fino a metà della coscia, e con esse gli strani calzari della donna.
    - Dammi, Cristina, mi sa di aver visto la cameriera che era al nostro tavolo passare adesso con un piatto, probabilmente il tuo. fermala, se hai deciso di rimanere qui anche tu. - le sorrise leggermente, allungando la gamba sinistra e il piede per afferrare ocn le prensili dita il manico del boccale più vicino, ancora nelle mani della giovane proprietaria dello strano gatto, che saltò dalle sue spalle al tavolo, mettendosi seduto, la coda a lato dele gambe posteriori piegate, le gambe anteriori dritte, le orecchie tese.
    - Probabilmente ha visto anche la ciotola del latte o qualcosa che lo ispira. - pensò la donna, aspettando che Cristina mollasse la presa sul manico del boccale e le permettesse di bere un sorso.
     
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  15. Silvia_M
     
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    alius
    Cristina;

    A prima vista a Cristina sembrava che Clarisse e il ragazzo, un biondino molto carino con la faccia seria, si conoscessero, ma da quello che disse la donna lei capì che non si erano mai visti prima.
    Li stava guardando con le due birre in mano, mentre una terza, quella del biondo, stava lentamente perdendo la schiuma sul tavolo.
    Scrick si spostò, finendo sul tavolo e apparentemente comportandosi come un tranquillissimo gatto, e così lasciò spazio a Clarisse che si sedette, incorciando le gambe ocn una naturalezza e una femminilità che erano totalmente sconosciute a Cristina.
    - Beata lei, è decisamente elgante, e poi alta com'è e con quel portamento così altero sembra una vera principessa. Certo che non sembra non avere le braccia, con il mantello che le copre il busto e la naturalezza con cui si muove. Ma adesso con la birra come farà? - si domandò.
    Quasi in risposta alla sua domanda solo pensata, l'altra le disse di darle almeno la sua birra, e allungò il piede, coperto se non per le ultime parti delle dita con una sorta di armatura molto flessibile che aveva già visto ma che osservò nuovamente. Era davvero bella, e sicuramente molto protettiva, anche se sembrava leggerissima.
    - Ah, sì, scusa. - le rispose lasciando il manico del boccale, e vedendo la donna tenere la presa salda come se l'avesse afferrato davvero con una mano e non con il piede.
    appoggiò l'altra birra sul tavolo e guardò il gatto.
    -Se me la bevi ci faccio uno scendiletto per bambole con la tua pelliccia. - gli disse in tono scherzoso, per poi precipitarsi ad inseguire la cameriera che stava decisamente portando il piatto di formaggio e verdure e il latte al tavolo in quel momento vuoto.
    Aveva un ottimo occhio Clarisse.
    La raggiunse mentre la donna si guardava in giro come a controllare se aveva sbagliato tavolo.
    - Ci sono, ci sono, ci siamo spostati a quel tavolo. Dia pure a me, ci penso io.
    La donna le diede il tutto e così Cristina tornò al tavolo schivando un paio di avventori, un piatto di terracotta marrone smaltata a fuoco sulla parte superiore contenete del formaggio parzialmente stagionato e delle verdure, carote, finocchi e insalata in una mano e una ciotola dello stesso materiale del piatto peina per tre quarti di latte.
    - Scusate... - disse arrivata al tavolo del biondo. - Scrick, qui c'è il tuo latte, lo metto sotto il tavolo, vedi di non darlo da bere soprattutto al pavimento come le altre volte. - gli disse, appoggiando prima il piatto del suo cibo sul tavolo e poi quello del latte poco sotto il tavolo stesso.
    Si sedette e sospirò.
    - Finalmente. Ho una fame che mi mangerei una mucca viva... - borbottò mordendo una carota e staccandone quasi metà lunghezza. - Ah, non mi sono nemmeno presentata. - Bofonchiò a bocca piena. - Cristina, e lui è Scrick, ma quello lo sapevi già. E la spilungona qui accanto è Clarisse, ma probabilmente si era già presentata.
    Ingoiò la verdura che aveva in bocca e bevve un piccolo sorso di birra. Era fresca e andava giù decisamente bene.
    - E tu, come ti chiami se posso saperlo? Come ha detto Clarisse, sei in partenza?
     
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16 replies since 2/9/2013, 14:13   195 views
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