Etienne Vermilion

Scheda accettata il 10/04/2013

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    _Eden_

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    Nome: Etienne
    Cognome: Vermilion
    Data di nascita: Sconosciuta
    Età: 26
    Razza: Umano
    Residenza: N/D
    Luogo di nascita: Regno di Knog
    Sesso: Maschio
    Fazione: N/D
    Allienamento: Neutrale

    Aspetto fisico

    Altezza: 1.84
    Peso: 78kg
    Occhi: Azzurri
    Capelli: Castano scuro
    Descrizione fisica: Che dire, si Etienne di certo è un bel ragazzo, alto circa un metro ed ottantacinque forse qualcosina in più, spalle larghe e fisico robusto e scolpito, tipico di qualcuno che ha passato la quasi totalità della sua vita ad allenarsi con la spada.
    Capelli castani che nonostante ogni suo tentativo non ne vogliono sapere di stare in ordine, Etienne si è quindi visto costretto a tirarli indietro, ma anche così una solitaria ciocca scende sfrontata davanti al suo volto, ed il ragazzo ha ormai rinunciato a domarla.
    La costante attività fisica oltre che una predisposizione genetica gli hanno donato un corpo muscoloso e snello, insomma non è un'armadio con un metro e mezzo di spalle, dopotutto la sua muscolatura non è fatta per sollevamenti ed altro, ma per scatti e colpi veloci, ne consegue che i muscoli sono allungati ed affusolati, ma la cosa che più colpisce nel suo corpo sono gli occhi, non il colore, ma l'intelligenza che essi celano.

    Segni particolari: Il mio corpo di Etienne ha chiaramente conosciuto il dolore, decine di cicatrici ed ustioni ne deturpano le linee, la più evidente è sul pettorale destro, la dove la lama ha squarciato la sua pelle per estrarre il cuore e sostituirlo con quello di qualcun'altro.

    Carattere


    Descrizione: Non ho mai amato parlare di me,se devo definirmi in qualche modo non posso non indicarmi come una persona normale con una vita speciale.
    Ma credo che vogliate di più, sapete in realtá non é che non amo parlare di me...non amo parlare e basta, preferisco tacere e studiare gli altri che offrire a qualcuno questo privilegio, ma forse sono io, una vita costantemente passata sul chi vive di certo non aiuta a stabilire legami, personalmente le poche volte che l'ho fatto me ne sono pentito, eppure porteró per sempre quelle persone nel mio cuore. Proprio per loro combatto oggi, anche se molti definiscono la mia personale crociata in solitario come un qualcosa d'egoistico io credo che sia qualcosa che deve essere fatto, so che sono l'ultima persona in tutta Eirydia ad avere il diritto di farlo, ma dopo quello che ho visto ed ho provato non posso stare fermo.
    ogni giorno uomini, donne e bambini vengono uccisi, fatti prigionieri, stuprati e seviziati, potete dire quello che vi pare io credo che se uccidendo una persona malvagia allora si puó salvare molte vite, beh si è in dovere di farlo.
    Per tutti coloro che credono che questo sia usare gli stessi metodi di coloro che io considero malvagi ho una notizia...non sono mai stato un buono

    Altro

    Abbigliamento:
    Oggetti: Sancuta et Haeresis Forgiate nel fine acciaio di elfico e temprate da mastri fabbri queste armi pur non essendo dei veri e propria capolavori svolgono con precisione ed efficacia il proprio lavoro.
    Lunghe più o meno 70 centimetri di cui 20 sono l'elsa, risultano armi atipiche, lavorate e studiate in seguito a specifiche direttive di Etienne che ha ibridato le else lunghe delle spade bastarde con le lame ricurve tipiche delle spade elfiche ottenendo così delle armi più versatili delle normali spade elfiche e più maneggevoli delle lame umane.
    La curvatura della lama in acciaio temprato è appositamente studiata per rendere il filo più tagliente di una lama dritta dello stesso tipo, personalizzata è anche la lunghezza della parte debole della lama, non a caso le normali spade hanno circa 60 centimetri di lama divisi tra debole e forte, questi due particolari esemplari sono stati accorciati leggermente per diminuire la parte debole ed aumentare la resistenza delle armi ad urti e sollecitazioni senza però intaccarne la flessibilità diminuendo leggermente la portata.
    Il pomolo è adornato da una forma a goccia allungata mentre la guardia e quasi inesistente nel lato senza filo e lievemente protesa in avanti nel lato tagliente dell'arma.
    Hobby:
    Familiari: N/D
    Storia:
    Non ho nulla da dire, di certo la mia storia non è più affascinante di quella del povero contadino a cui i briganti hanno bruciato la casa, o quella del giovane taglialegna che arrivato in città per comprare qualche erba per curare la madre malata si vede accolto con i forconi e con le torce, reo solo di essere uno straniero.
    Eppure perchè non chiedere a loro di raccontarvi qualcosa? Solo perchè sventolo un'arma in giro merito forse più attenzione rispetto ad altri uomini, o elfi, o nani lo stesso buoni come me, magari più di me? Non credo, eppure ho voglia di accontentarti.
    Come forse sai sono un nativo dell' Isola di Knog, e nonostante l'unica cosa che mi accomuna a quel luogo sia la mia venuta al mondo ancora oggi ne pago lo scotto. I rimorsi sono una dura bestia da affrontare, specie nelle ore più buie e solitarie...ma iniziamo dall'inizio.
    Sono venuto al mondo come tutti quanti gli abitanti di Eirydia, scalciando ed urlando, lottando per emettere anche il minimo vagito, peccato che quel giorno in quella stanza non ero l'unico a lottare per la vita, mia madre per complicanze dovute al parto, almeno credo, è morta poche ore dopo avermi dato alla luce, di certo non una buona notizia per mio padre.
    Sai per un qualche motivo avete l'assurda convinzione che tutti gli abitanti dell'Isola di Knog siano malvagi, non lo nego, molti esponenti della mia vecchia nazione sono individui, come dire...poco raccomandabili se vogliamo usare un linguaggio diplomatico, invece mio padre non era cattivo, ne era buono, non l'ho mai conosciuto ma da quel poco che ho sentito era del tutto neutrale, non per una qualche morale, no era semplicemente troppo stupido. L'ignoranza, ecco cosa lo ha salvato dal cadere anche lui vittima della continua ricerca del potere che ogni altro abitante di quelle terre perdute porta avanti per tutta la vita.
    La convivenza con mio padre non è stata troppo lunga, ironicamente l'unico ricordo che ho di lui è il suo cadavere appeso ad una trave, nonostante mi avesse lasciato da solo all'età di tre anni non posso incolparlo, amava veramente tanto mia madre, il colpo deve essere stato troppo per lui, ha retto fino a quando ha potuto, poi la fatica e la depressione se lo sono preso.
    E così ero solo al mondo, capisci bene che un bambino di tre anni da solo che vaga per una città come Knagwar farà ben presto una brutta fine...ed infatti, non passò molto che un mercante di schiavi, uno di quelli che catturava esseri da altre nazioni per poi rivenderli, s'imbattesse in me, e per metterla in termini civili decise di prendersi cura del povero orfanello che ero, in pratica mi vendette al miglior offerente. Ancora ricordo la sua puzza di birra e cipolle Rees Delibert, la peggiore feccia sulla faccia di questo pianeta, costringeva i bambini maschi a chiedere l'elemosina, mentre le femmine, beh fidati non è bello quello che faceva fare loro per soldi oppure faceva in prima persona per suo diletto.
    Non nego che furono anni bui, rischiarati solo dall'amicizia di due ragazzi, Lorin un bambino più grande di me di due anni e Rela, una piccola elfa la cui età precisa non so dirti, non ho mai capito come cresce il popolo silvano. Comunque, grazie a loro ho trovato la forza di andare avanti, forza che mi è stata strappata via all'età di dieci anni proprio da quell'essere spregevole di Rees, in uno dei suoi perversi e sadici momenti di divertimento esagerò con le maniere forti e spezzò il collo alla piccola Rela cancellando così la sua vita, Lorin fece la stessa fine, ricolmo di rabbia si scagliò contro Rees, solo per vedere nel suo petto l'argentea lama del pugnale che l'uomo portava sempre alla cintura. Ancora oggi mi maledico, per essere rimasto fermo, paralizzato dalla paura e dai conati di vomito che si riversavano copiosi sul pavimento mischiandosi al sangue del mio amico, non avevo più nulla.
    Quella notte scappai, non so come ci sono riuscito, ma ho corso, ho corso a perdifiato lungo le vie della città, fino ad arrivare all'unico posto dove nessuno mi poteva trovare, le fogne.
    Passai anni in quel luogo fetido e malsano, ancora non so come non sia morto, sul serio, quando vi diranno che gli abitanti dell'Isola di Knog sono uniti dal sentimento di disprezzo e dalla sete di vendetta che provano nei confronti del resto del mondo, non credetegli, le persone di quelle Terre bramano solo una cosa, il potere fine a se stesso.
    Per tre anni ho vissuto nelle fogne, rubando e mentendo per sopravvivere, molte volte venni scoperto mentre rubavo qualcosa da mangiare o da vestire da qualche bancarella, ma sono sempre riuscito a scappare, anni nelle fogne mi hanno insegnato che il mondo non è clemente con un ladruncolo se viene preso, la frusta è il minimo che gli possa capitare, durante questi oscuro periodo conobbi il vero significato della parola miseria, con la fame il freddo e le malattie sempre in agguato più volte pensai con nostalgia alla prigionia di Rees, lì almeno avevo un tetto sopra la testa ed un pasto al giorno, nelle fogne nulla di tutto questo. In questa decadente realtà ho imparato come gli uomini si tramutino in bestie senza neanche volerlo, ho visto esseri umani uccidersi per un pezzo di pane, innamorati togliere la vita al compagno pur di avere una coperta per non patire il freddo, ma non ero destinato a quella vita. Alla tenera età di quattordici anni, contavo di unirmi all'esercito, lì mi avrebbero sicuramente accolto a braccia aperte, almeno così credevo, dopotutto anche dal misero buco dove vivevo sentivo i discorsi dei benestanti e dei nobili, discorsi carichi di odio, di violenza, discorsi che avrebbero inevitabilmente portato alla guerra. Eppure, nonostante tutto, nonostante una guerra alle porte e i mille vuoti ed ipocriti discorsi su come il popolo del Regno di Knog doveva essere unito contro i nemici...sono stato scacciato, reso un'altra volta schiavo, dell'accademia, addetto solo alla pulizia dei locali e al servilismo verso i nobili che la frequentavano.
    Credi che sia finita qui? No, perchè vedi tra i lucidi che corridoi della struttura gli schiavi miei pari vociferavano spesso di sparizioni, di omicidi commessi dai nobili e dai potenti dentro l'accademia ai danni degli schiavi, così solo per divertimento.
    Pregai, pregai con tutto me stesso ogni Dio conosciuto, e forse persino quelli sconosciuti, ma poi, dopo un'anno di umiliazioni, soprusi e violenze ho capito, ho compreso che se vuoi una cosa non devi implorare gli Dei, ma prenderla ad altri uomini o donne e poi chiedere il perdono, e così ho fatto. Ho ucciso un'uomo, non dimenticherò mai quel giorno, l'odore del sangue, come quel rosso brillante sia così ipnotico, sai credo che gli uomini provino una perversa attrazione davanti al sangue, non riescono a smettere di guardarlo, io non ci sono riuscito, non quella volta quando ho ucciso il guardiano dell'accademia e sono scappato, con i suoi soldi, le sue armi e la mia libertà.
    Sono scappato, braccato come un cane da uomini che sibilavano maledizioni sul mio nome ed invocavano la mia morte, ho corso, giorno e notte senza quasi dormire e mangiare, per miglia e miglia, fino ad arrivare al Regno dell'Arcipelago.
    Molte volte mentre origliavo i discorsi dei cadetti sentivo nelle loro parole tutto l'odio per quella Terra, scioccamente mi dissi che di certo per odiarla doveva essere l'antitesi delle Regno di Knog ed in un certo senso è vero, ma di certo non lo era per me, sulla mia strada trovai criminalità e diffidenza...imparai presto a nascondere le mie origini a praticamente tutti.
    Quindi eccomi, ero arrivato ad Aluan, eppure in quei pochi villaggi dove mi ero fermato ed avevo rivelato chi ero...beh, diciamo che sono stato scacciato con le torce ed i forconi. Spinto dal mero istinto di sopravvivenza mi diressi a Thenar, la possente capitale della Terra.
    All'ingresso durante le procedure per la registrazione del nome un'uomo proveniente da uno dei villaggi che avevo visitato mi riconobbe e mi denunciò alle guardie lì presenti, ecco come venni arrestato.
    Ironicamente dato che non avevo commesso alcun crimine e non potevano trattenermi mi suggerirono di arruolarmi "forzatamente", in pratica un modo come un'altro di tenermi d'occhio. Inutile dire come nell'esercito mi trovai stranamente bene, certo i miei commilitoni mi odiavano apertamente per la mia provenienza, ma le lunghe ore passate ad allenarsi con la spada o la lancia o anche solo a fare attività fisica erano un balsamo un momento per rimanere solo con i miei pensieri, non c'è che dire in quel periodo parlavo poco e sudavo tanto.
    Passai cinque anni nell'armata di Thenar, anni tutto sommato tranquilli, di certo i migliori che potei vivere fino a quel momento, quanto meno non dovevo temere ogni secondo per la mia vita, ed il pane per la cena c'era sempre, poco importava se coloro che dovevo chiamare compagni mi odiavano e mi ritenevano una minaccia da estirpare con la forza, ma anche questa parte della mia vita finì presto, quando un'uomo visitò il nostro accampamento e rimase colpito da me, più avanti mi rivelò che a colpirlo fù la mia mancanza di reazioni agl'insulti che gli altri soldati mi rivolgevano nei momenti di pausa, questo piccolo dettaglio lo portò a chiedere la mia storia all'ufficiale che lo accompagnava, il suo nome era Matthieu de Vermilion, un Cavaliere di Thenar.
    Andai con lui, avevo già fatto quanto potevo e dimostrato quello che dovevo, non ero una minaccia.
    Con Matthieu compresi veramente cosa volesse dire combattere, non di rado il cavaliere mi trascinava in battaglie più o meno cruenti contro briganti, mostri o razze malefiche di vario tipo, imparai a volergli bene, quasi come un padre, dopo tanto tempo compresi finalmente cosa volesse dire non dover pensare solo a se stessi. M'insegnò l'arte della filosofia, della retorica e della poesia, la storia e la matematica, la strategia e l'anatomia, ma sopra ogni cosa mi diede il bene più grande mi diede il suo nome.
    Sfortunatamente la dinastia dei Vermilion aveva perso tutte le sue ricchezze ben prima che Matthieu venisse alla luce, sperperate in maniera folle dai suoi avi alla ricerca di ogni forma di piacere, sano o perverso che sia, in effetti gli era rimasto ben poco oltre il suo buon nome e la sua fama come maestro d'arme d'impareggiabile bravura, non di rado si recava nelle case di qualche nobile ad insegnare al figlio, la maggior parte delle volte sia i genitori che i generati nonostante il titolo non ero altro che uomini boriosi ansiosi solo che mantenere il loro status indegni persino di pulire gli stivali al mio maestro, eppure di buon grado metteva a loro disposizione i suoi talenti, conducendo le loro truppe, insegnando ai loro figli, ed almeno in un caso seducendo le loro mogli...ma questa è un'altra storia e te la racconterò in un'altro momento, sappi solo che anche in quell'occasione Matthieu si rifiutò di comportarsi in modo vile e di prendere la donna di altri.
    Poi tutto cambiò quel giorno di maggio, quando Matthieu morì.
    Era una tenuta su una piccola isola ai confini con il Regno di Knog, un maniero poligonale che aveva visto giorni migliori, ma senz'altro decoroso, persino il suo padrone non era male, sai credo che quando un nobile comprenda cosa sia l'umiltà il suo atteggiamento cambia.
    In ogni caso ci fu una scorribanda, erano travestiti da briganti ed attaccarono il palazzo di notte, le sentinelle vennero uccise nel sonno o comprate perchè non vi fu strepitio di battaglia, almeno fino a che non fu troppo tardi. Io ed Matthieu siamo corsi a fare quello che potevamo cercando di mettere in salvo i civili innocenti che albergavano al maniero, e fù così che morì, dietro la barricata che avevamo eretto in fretta e furia per proteggere la via di fuga per portava all'uscita posteriore una freccia, una stupida freccia si fece largo nel vasto salone dove si svolgeva la battaglia e lo raggiunse al cuore, ciò che mille spade non avevano potuto, colui che aveva sconfitto decine di guerrieri di ogni terra cadde per una sola misera freccia.
    Così morì il mio maestro, con un sorriso tra le labbra chiedendomi di salvare quei pochi ancora in vita. E mentre lui esalava l'ultimo respiro e le lacrime mi riempivano gli occhi me ne fregai, scatenai tutta la mia frustazione, tutta la rabbia che avevo accumulato in vita, ignorai il suo ultimo desiderio, m'importava solo di combattere nulla più, venni ferito più e più volte in quella sera, ma ricordo che il sangue di molti macchio la mia lama fino a che intrisa dalle più vili melma umane si spezzo condannandomi a ricevere un colpo ad un fianco, cedetti a dolore, fatica e sofferenza, la mia mente si estraniò e svenni a terra.
    Mi risvegliai giorni dopo su un carro cigolante coperto solo da dei consunti calzoni in pelle e da delle bende, un mercante mi aveva trovato tra le rovine e soccorso, erano passati tre giorni ed ero l'unico sopravvissuto.
    Credi fosse tutto finito? No forse visto ciò che mi aspettava era meglio morire lì, quel giorno, sarebbe stato meglio se il mio corpo fosse rimasto a marcire ed imputridire assieme a tutti coloro che hanno trovato la morte sul filo di una lama o su una punta di freccia in quel giorno di sangue.
    Non ebbi neanche il tempo di risvegliarmi, il mio corpo era ricoperto di vermi, che ne divoravano i tessuti morti ripulendo le ferite della carne.
    Ero legato, su di un carro, chiuso, sigillato da solido metallo e legno, nell'oscurità più totale, stipato con decine e decine di uomini, donne e bambini, la puzza d'urina e feci che sovrastava quella del sudore di quella calca umana stretta in due metri quadrati. Passai i giorni con la consapevolezza che cresceva, il dolore che non se ne andava, la mia mente riempita solo dai sospetti, dall'ansia e dalla paura, le mie orecchie piene dei cigoli delle ruote e dai gemiti di sofferenza di quelle povere anime che come me subivano quell'infausto destino.
    Eravamo diventati schiavi, ci era stata tolto il nostro più grande dono, ci era stato tolto il dono della libertà.
    Viaggiamo a lungo i giorni diventavano settimane, i miei compagni, forse più deboli o forse più sfortunati furono decimati, ma alla morte di uno un'altro malcapitato lo rimpiazzava.
    Non c'era differenza, uomini, donne, ricchi e poveri, mendicanti e nobili, tutti venivano caricati su quel carro, in quell'inferno.
    Non dimenticherò mai quei giorni d'incertezza e di paura, con la fame come costante compagna di viaggio, non scorderò mai le urla delle donne stuprate sotto lo sguardo dei figli ogni sera durante la sosta, ancora oggi ogni faccia ogni volto, ogni voce, ogni dettaglio di quelle persone è nel mio cervello impresso a fuoco nel mio cervello doloroso come un ferro arroventato sulla carne viva, ci sono cose che un'uomo non può dimenticare, il pianto di una madre a cui hanno ucciso il figlio undicenne che ha provato a difenderla durante l'ennesimo stupro, le lacrime di un padre che non vedrà mai più la sua famiglia, il dolore di un'innamorato costretto con la forza a separarsi per sempre dal suo eterno amore.
    Tutto sommato io ero fortunato, non avevo nulla, nulla che mi legasse da qualche parte, nulla da ripiangere, passai buona parte del viaggio in una costante apatia, una cupa e silente rassegnazione al mio fato, in cuor mio ero convinto che fosse la giusta espiazione per i miei peccati, certo non avevo sferrato io il colpo che aveva ucciso tante persone quel lontano giorno al castello, ma quanti ne avrei potuti salvare? Quanti uomini, quante donne e quanti bambini, quante madri, padri, figli o fratelli, quanti mariti e quante mogli erano morti perchè io potessi appagare l'ira del mio cuore?
    Gli avevo disobbedito, mi ero disinteressato a ciò che era giusto, a ciò che il mio maestro mi aveva pregato di fare in punto di morte, avevo preteso vendetta, una vendetta che non era giunta, ero solo armato solo con una spada e la stupidità, ero caduto dopo poco, ed assieme a me erano cadute molte altre persone, le loro vite sulla mia coscienza.
    Quella era la mia giusta punizione.
    Almeno così credevo, non potevo immaginare ciò che mi sarebbe capitato.
    Dopo settimane, forse mesi di cammino le ruote smisero di muoversi, i cavalli stanchi vennero fatti riposare e la candida neve mi accolse, dopo mesi vidi nuovamente il cielo.
    Eravamo a Nord, eravamo tornati nelle Terre perdute, nel luogo che avevo promesso di lasciare per sempre.
    Non potevo crederci, anzi forse non volevo crederci, ma la lingua parlata dai miei carcerieri era quella.
    Fummo stipati in baracche sudice, lerce di liquami, sudore, sangue e vomito, costretti a dormire a terra con solo le nostre vesti addosso e con gli occhi famelici dei nostri compagni puntati sulle carni, avevano fame erano ansiosi che noi morissimo pur di mangiare qualcosa. Ne avevo sentito parlare, ma pensavo fossero leggende, più volte a Tenar si diceva che il Regno di Knog rapissero persone nei regni del sud, non ci avevo mai creduto, mi sbagliavo.
    In un certo senso fui un fortunato, passai solo una notte in quella capanna fetida, con il vento gelido che penetrava da ogni crepa nel muro in legno e paglia, il giorno dopo al mio arrivo ci portarono fuori, nudi, con nulla più che un pezzo di stoffa a coprire la nostra intimità, e la neve, candida, bianca, a perdita d'occhio, il gelo che s'insinuava nella carne, fino a bruciare, le lacrime che scendevano copiose per il dolore ghiacciando direttamente sulla pelle, e le guardie, con i bastoni e le fruste che non trovavano pace, ci picchiavano, ci frustavano, non so perchè, posso solo immaginarlo, credo stessero testando la merce, credo stessero vedendo quanti di noi erano abbastanza forti, molti cadevano nella neve, svenuti, e restavano lì, a morire al gelo, passammo giorni lì fuori, con i bastoni e le fruste che c'impedivano di dormire, senza cibo, ne acqua ne nulle, senza un cazzo di niente.
    E poi venne l'ultima alba che vidi per molto tempo.
    Ci venne ordinato di rientrare, ci sbrigammo ad eseguire, eravamo troppo stanchi, infreddoliti e debilitati per fare qualunque altra cosa, quella era una dimostrazione, qualcosa mi si era spezzato dentro alla vista di quanta crudeltà gli uomini possono avere nell'animo.
    I cadaveri di coloro che non ce l'avevano fatta venivano gettati su di un carro, c'era un bambino, non avrà avuto più di 12 anni, me lo ricordo, i capelli biondi tinti del rosso del sangue versato per un colpo in testa, si muoveva ancora, poteva essere salvato. Non so perchè lo feci, stupidità, ma con il senno di poi non posso che ringraziare la mia stupidità, cercai di attirare la loro attenzione, conoscevo quella lingua, ero l'unico prigioniero a conoscerla, ero l'unico a conoscere il loro destino, la carne era preziosa, quegli esseri che nominavano, le sfingi aspettavano il pasto. Il bambino era ancora vivo, li avvisai, mi gettai in avanti solo per ricevere un colpo in testa e vedere tutto il mondo tingersi di rosso.
    Mi risvegliai tempo dopo, in una cella scura, buia talmente piccola che neanche c'entravo, non potevo girarmi, non potevo alzarmi, non potevo stendermi, non potevo fare nulla se non stare rannicchiato, non era una cella, era un cubicolo, e non ero solo, oppure lo ero, sono solo punti di vista.
    Con me c'era un cadavere, a terra, talmente putrefatto che la lingua viola era contornata di mosche, gli occhi aperti e secchi erano neri e puzzava, puzzava da morire, e mi toccava o forse è meglio dire io toccavo lui, eravamo così vicini che alla fine non potevamo evitarlo.
    Mi ricordo che vomitai, solo la bile, non mangiavo da giorni.
    E mi ricordo quella voce, le guardie che ridevano, che dalla porta, anzi dallo sportello sopra la mia testa m'informavano gentilmente che se rivolevo uscire dovevo mangiare quel cadavere.
    Non so dirti il perchè di quelle azioni, credo che non abbiano uno scopo specifico, credo che lo facciano solo per divertirsi, o forse per fiaccare lo spirito delle persone che arrivano lì, e vuoi sapere una cosa? Funziona fottutamente bene.
    Mi ricordo che ho pregato, che ho urlato, che ho picchiato quello sportello sopra la mia testa con tutta la forza che avevo.
    E mi ricordo dei giorni che passavano, la follia che si faceva avanti più forte persino della fame, a quella c'ero abituato, presi l'abitudine di parlare da solo, sempre di più di ridere, ed i giorni passavano, anche se non so dirlo, poteva anche essere un'ora, ma personalomente credo che siano passati anni, secoli, forse millenni in quel posto senza finestre ne porte.
    Eravamo solo io e lui.
    Sai dopo un po' non è tanto male, credo che alla fine il tempo aiuti, alla fine mi sembrava tutto così familiare, mi sembrava tutto così normale, e sai qual'è la cosa brutta, la cosa mi faceva veramente tremare?
    Che una parte di me, una minuscola parte di me sapeva che tutto era sbagliato, sapevo che stavo impazzendo, perchè ora non parlavo più da solo, no, parlavo con lui, con il cadavere, gli avevo persino trovato un nome, un nome, ti rendi conto? Un nome per una cosa putrefatta, per della carne marcia ed una mistura di liquidi che mi colavano addosso.
    Lorin, lo avevo chiamato come il mio amico d'infanzia, ironico dopotutto, alla fine se ci pensi quel cadavere è stato il mio unico amico, non era bravo a conversare, ma ascoltava che era una bellezza.
    Ti sto dicendo tutto questo cercando di scherzarci su, dopotutto scherzarci è l'unica cosa che mi aiuta sopportare, non credi anche tu?
    E poi tutto cambiò il giorno in cui ho compreso di essere pazzo, il giorno in cui lui mi ha risposto.
    Il giorno in cui la fame, la stanchezza, la follia ebbero la meglio, non ce la facevo più, ero stremato, sarei morto lì se non lo avessi fatto.
    Il giorno in cui ho mangiato quel cadavere, sì, ho mangiato quel fottutissimo cadavere putrefatto, ho mangiato quella carne così gonfia che il solo toccarla la faceva esplodere per effetto di tutti i gas della putrefazione, bello schifo vero?
    Se solo avessi saputo quello che mi aspettava dopo, beh credo che avrei preferito morire lì, in effetti molte volte nella mia vita avrei preferito morire, e forse credo una parte di me sia morta ogniuna di queste volte.
    In ogni caso quella sera stessa mi vennero a tirare fuori, era una sensazione strana, tutto quello spazio, tutta quella luce, mi sentivo sperduto, era tutto troppo grande, ormai mi ero abituato a quel minuscolo posto, al punto che lo rivolevo.
    Mi spostarono, in una grossa cella, assieme ad altre persone, altri sventurati come me, mi legarono con delle catene al muro e mi lasciarono lì.
    Ed iniziò il vero Inferno per me.
    Come credi mi sia fatto le cicatrici sul mio petto e tutte quelle ustioni?
    Esperimenti, ti aprono il petto e ti levano il cuore mettendo quello di un'elfo, o di un nano o di un vampiro o vai a vedere, magari il polmone di un licantropo, il rene di una sirena... e vedono che succede.
    Ed ogni volta tu sei sveglio, e sentito tutto, ma alla fine è come se non senti niente perchè nulla conta oltre il dolore, quello sì che ti forgia che ti entra in testa come un chiodo arroventato e non se ne va, non finchè non svieni, e fidati succede ogni volta.
    Sai cosa fanno dopo? Ogni volta? Ti torturano, ti fanno male, vedono se è cambiato qualcosa, ogni giorno, per mesi per ore ed ore ferri arroventati, botte, ghiaccio ogni cosa che riesci a pensare te la fanno, e lentamente scivoli, lungo quell'infinita spirale di pazzia che contraddistingue l'animo umano.
    Come sono uscito? nel più semplice dei modi, sono morto, letteralmente sono deceduto durante l'ennesimo esperimento, cosciente di tutto mi sono semplicemente arreso, alla fine non mi fregava nulla di quello che mi sarebbe potuto accadere, tutto era meglio che restare lì a soffrire e crepare di dolore e di stenti, non è stato facile, mi hanno chiuso in un sacco che puzzava di sangue e carne rancida, mi hanno trascinato a lungo sul pavimento gelido, e mi hanno gettato nel recinto di quelle creature, lasciadomi lì a morire, quei bastardi non hanno rispetto e pietà neanche dei morti.
    Ricordo la puzza di quella cosa, di quella bestia, i passi che scricchiolavano sulle ossa dei morti che spezzava con il suo peso, gli artigli lunghi quanto il mio pugno, le zanne talmente affilate da poter trapassare un'armatura come una pergamena.
    Scappai, correndo più che potevo mi allontanai da quel luogo maledetto da quella bestia legata , da quegli uomini con le fruste scappai da tutto.
    Dopo anni d'esilio autoimposto ero tornato a Knaqwar, per giorni vagai in quella città maledetta, rubando come facevo anni prima, dimorando nelle fogne con un topo come cuscino considerando tutto quello come il meglio che potessi ottenere.
    Ironico vero, come il concetto di miseria sia così dannatamente soggettivo, come tutto sia così relativo al passato ed alle esperienze di una persona, avevo visto l'inferno e ne ero uscito, ed ora l'inferno degli altri uomini mi sembrava un paradiso, un'Eden proibito, ma alla fine sono dell'idea che una volta che guardi dentro l'Abisso non puoi tornare indietro, perchè nello stesso momento in cui scruti in quell'immenso muro d'oscurità, beh anche lui scruta in te, l'Abisso scruta dentro di te, ti analizza come si analizza un pezzo di carne al mercato, di distrugge e pesa ogni tua parte e ti ricompone cambiato.
    Sembra stupido ma è così vero che fa quasi male.
    Quel posto mi ha cambiato.
    Mi ha reso più egoista, più spietato, eppure al tempo stesso più generoso, solo quando si tocca il girone più basso dell'Inferno si comprende veramente quanto sia miserevole la nostra vita.
    Lo compresi, molti mesi dopo, quando ormai avevo lasciato il Regno di Knog, quando mi resi conto non avrei più passato un'altra notte di sonno tranquillo nella mia vita; dovevo tornare lì, non potevo permettere ad altri uomini e donne di passare quello che io avevo passato.
    Mi rimisi in marcia ripresi ad allenarmi, recuperando nell'arco dei mesi la forma che avevo perso per colpa delle privazioni e delle torture, la mia forza, la mia rapidità, l'agilità ed i riflessi tornarono al mio corpo come vecchi amici a lungo assenti e mai dimenticati, ma portarono con loro una cosa nuova, la sete, di sangue e morte, di vendetta.
    Tornai in quel luogo maledetto, dove vigeva morte e dolore, tornai nel regno di Knog, lì forte della mia cittadinanza mi feci assumere nell'esercito. Questa volta le cose andarono diversamente, non era un ragazzo a presentarsi a loro, ma un'uomo ben allenato ed armato, non ci pensarono due volte a mettermi nei ranghi di fanteria, lascia passare qualche mese attendendo con calma e pazienza per poi chiedere un trasferimento al campo.
    Era passato quasi un'anno, ed ora ero tornato, chiunque mi avrebbe dato dell'idiota, ma questa persona questo oscuro giudice non ha passato quello che ho passato io, come potrebbe giudicarmi?
    Nel campo conobbi un'altro uomo mi venne assegnato come compagno di stanza era un soldato come me, il suo nome era Tarnet, di bastardi razzisti xenofobi come quello ne ho conosciuti pochi, non di rado l'ho visto divertirsi con le madri di qualche bambino sotto gli occhi del figlio, il suo divertimento preferito era far scegliere alle madri od ai padri quale figlio dovesse morire e quale vivere, come se gli orrori di quel posto non fossero già abbastanza.
    Ancora ricordo la rabbia della prima volta che vidi quell'isano spettacolo; una madre, due figlie, decine di uomini a vessarle, torturarle ridendo e scherzando.
    Dovevo ucciderli, dovevo uccidere tutti, non possono esistere luoghi del genere, se gli Dei esistono dovranno chiedermi perdono per quello che visto e passato.
    In ogni caso non ho permesso a Tarnet di continuare i suoi giochetti per molto tempo, l'ho ucciso, ed assieme a lui tutti i suoi compagni.
    Stavamo portandoi un ragazzo al recinto della bestia, un poveraccio ferito per le botte e le torture sfuggite di mano, come dicevano loro, un pezzo di carne ormai inutile, ma ancora vivo.
    Tutto accadde lentamente, Tarnet che butta il corpo nel recinto, la bestia che esce, la lingua serpentina che annusa l'aria, i muscoli possenti richiusi dentro quell'impenetrabile corazza, Tarnet che sorride, il ragazzo ferito che grida, le sue urla s'innalzano alte, urla mentre le zanne gli dilaniano la carne, urla mentre la bestia gli strappa una gamba e la divora, urla, urla, se solo avessi sentito quelle grida, quelle suppliche, quel pianto, e cosa faceva quel bastardo? Rideva, stava lì ed osservava la scena nello stesso modo in cui si osserva l'intimità di una puttana.
    Stava li a guardare la morte ed ascoltare quelle grida, le stesse che fino a qualche mese prima avevo fatto io.
    E poi fu il silenzio, solo il rumore delle ossa che si spezzavano scuoteva l'aria, Tarnet si girò verso di me, la furia, l'odio, il dolore ed i ricordi presero il sopravvento, il cuore mi pulsava nella mente mentre l'odio scorreva nelle mie vene più denso del sangue, più forte di qualsiasi droga, vibrai un destro sulla faccia dell'uomo, solo un lungo grido si fece testimone della sua morte, il collo spezzato, le carni divorate dalla bestia, tutto un tragico incidente, almeno quello che raccontai alle altre guardie fingendo dispiacere, ma dentro di me era tutto diverso, il gelido fuoco delle vendetta avvolgeva il mio animo, mi riempiva svuotandomi al tempo stesso, mi donava quella perversa esaltazione che solo la capacità di uccidere può donare, ma forse era qualcosa di più qualcosa di più maligno, una deviata voglia di rivalsa, dopotutto non mi era fregato nulla di salvare quel ragazzo, non era il bene ciò che ricercavo, non era la pietà a muovere la mia mano e la mia spada, era l'odio.
    Me lo sono sempre detto che sono il frutto di ciò che mi è stato fatto, il risultato delle più malefiche perversione e violenze che scuotono il nostro mondo. Che la pietà se la tengano tutti gli ipocriti, alla fine noi non siamo più civili di quanto il mondo ci permetta di essere.
    Ricordo i giorni passati come guardia, i giorni a parlare con i prigionieri, o forse cavie è il termine giusto, i giorni a rubare le armi a nasconderle in attesa di liberare tutti.
    Liberare, in cuor mio lo sapevo, quanti di quegli sventurati sarebbe sopravvissuto alla battaglia contro un reparto militare ben addestrato? Quasi nessuno, erano stanchi affamati, i loro muscoli atrofizzati e le loro menti piegate, eppure non m'interessava, potevano morire tutti, tanto la loro fine era questa, mi bastava che quel dannato campo quei maledetti bastardi schiavisti morissero tutti.
    Forse sono stato spietato, usare degli uomini i questo modo, ma alla fine cosa potevo fare? Non potevo salvarli, anche immaginando che fossi riuscito a farli uscire da lì, come li avrei potuti portare via dall'isola? Come potevo sfamarli o vestirli? Nono potevo fare nulla,l'unica osa decente era usarli,sacrificarli perchè nessuno passasse più quello che avevano passato loro...quello che ho passato io.
    Ripensandoci ora mi sento quasi in pena,per quei poveri diavoli, ma la pena è un lusso che non mi sono mai potuto concedere, alla fine nessuno ha mai avuto pietà di me, e quei pochi che l'hanno avuto hanno trovato la morte, perchè io dovrei averne per altri esseri?
    Quindi ho fatto quello che andava fatto, ho aperto le celle,ho fornito loro le armi e li ho mandati a farsi scannare dalle guardie.
    Sono morti tutti, quella che inizialmente era nata come una missione di salvataggio era divenuta ben altro,una vendetta privata, perchè si, forse alcuni non sono morti per le spade delle guardie, magari hanno vissuto abbastanza per sentire il fuoco,quel fuoco che io avevo appiccato al campo, chiudendoli tutti dentro, carcerieri e carcerati.
    E fu solo cenere, alla fine nessuno meritava la salvezza, perchè li dentro nessuno è buono, perchè quel campo ti fa diventare come me, un qualcosa di diverso, qualcosa che trascende il bene ed il male, alla fine sono solo cose troppo complesse da comprendere, complesse proprio per la loro estrema semplicità, ma cosa ne puoi capire tu...
    In ogni caso la mia missione non era finita, no avevo ucciso la manovalanza, ma i capi erano salvi, loro non si sprecavano a vivere nel campo,no vivevano con le loro belle famiglie in eleganti palazzi, ingozzandosi senza un pensiero a coloro che affamavano, baciando la sera la moglie senza pensare alle famiglie che avevano spezzato.
    No una vendetta va consumata completa, ed io la mia la volevo tutta.
    faticai per uccidere le prime due vittime, barricate nei loro grandi palazzi, ricordo la gioia dell'affondare il coltello nella gola, l'eccitazione della caccia, sentire il respiro affannato del preda durante la fuga è un qualcosa d'indescrivibile, una sorta di piacere perverso, la paura è un'arma potente, sapevano che stavo venendo per loro.
    Logicamente uccisi i primi due sia Rees che l'altro un mercante di schiavi presero le loro precauzioni, Rees semplicemente sparì, non era mai stato ne ricco ne importante nel regno, la sua forza si basava sull'incarico nel campo, incarico che di fatto era terminato dopo la distruzione della struttura, quindi aveva pensato bene di prendere la sua famiglia e di scappare, sapevo che senza alleati degni di questo nome non avrebbe fatto molta strada, l'avrei ritrovato, il vero problema era il mercante, come potevo sfidare un'uomo che aveva a sua disposizione un piccolo esercito?
    Semplicemente sparii, lasciai calmare le acque, per tre mesi non mi feci più vedere, ne un morto ne una rissa nulla di niente, lascia perdere tutto per donare a quel bastardo un senso di falsa sicurezza, riprese ad uscire, sempre sotto scorta, ma comunque quelle sporadiche uscite erano delle occasioni da sfruttare, le mie mani vibravano dalla voglia di affondare il pugnale nel collo di quella bestia.
    Era una sera come le altre, gli stendardi garrivano al vento della notte, l'uomo era uscito dalla sua dimora per andare a visitare un bordello, ne ero informato, sapevo che quella sera avrebbe avuto la necessità di placare i suoi desideri carnali, non era un caso se in quel bordello avevano lasciato quasi tutti le puttane a sua disposizione.
    Effettivamente solo una era prenotata, la mia, l'oro che avevo offerto alla cortigiana era stato sufficiente a garantirmi una stanzetta e della compagnia senz'altro interessante.
    Non nego di non aver approfittato di quella donna nell'attesa del mercante, ma alla fine avevo pagato un servizio e mi stavo limitando ad usufruirne, mentirei se mi facessi credere un santo, non lo sono e credo si possa capire dalla mia storia, lo dico senza problemi e senza il finto perbenismo che caratterizza tutta la gente di questo mondo.
    Ricordo ancora il piacere d'entrare nella sua camera, gli sguardi spaventate delle ragazze alla vista della lama nella mano, vedere la donna che lo stava appagando con la propria bocca arretrare spaventata lasciando aperta la via per le carni del bastardo, la lama che affondava nel suo ventre rigonfio, l'acciaio che strappava muscoli, grasso ed interiora di quello schifoso edonista perverso rovesciando tutto a terra, il sangue, la carne tutto.
    Ricorderò per sempre il sigulto terrorizzato di quel viscido alla mia vista, ricorderò le urla di quel maiale scannato ed il sangue che inondava la stanza.
    E ricorderò la mia fuga, avevo concluso la mia missione nel regno di Knog, ed anche abbastanza platealmente, scappai, ora ne restava solo uno...
    Rees.
    Mi diressi verso l'unico posto che conoscevo poteva ospitarlo senza che destasse sospetti, tornai a Tenar.
    Qui mi limitai semplicemente a riposare, nulla di più che restare tutto il giorno in locanda ad ubriacarmi e ascoltare le dicerie che giaravano nella zona sperando di rintracciare Rees, in quesl posto vidi alcuni dei giorni peggiori della mia vita, tutto il frenetico ritmo della mia vita rallentava, la forza e l'ira delle vendetta sfumavano lasciando solo l'alcol come mio eterno compagno, innumerevoli furono le notti in cui vomitai l'anima e la vidi nera dei miei peccati, mi ero semplicemente rifiutato di continuare a vivere, avevo trovato un fetido buco dove rintanare la testa gioendo della compagnia delle cortigiane più luride e dei liquori più scadenti.
    Cosa dovevo fare? Pensi sia stato facile per me? Tutte quelle lunghe ore di solitudine, i ricordi delle torture che riaffiorano, le urla, il sangue, il dolore che tornavano come se li avessi provati in quel preciso momento, e tutto quel silenzio, così pesante che potevo sentire ogni minimo battito del mio cuore, di un cuore che è mio, ma che non mi appartiene, un cuore strappato ad un'altro essere vivente.
    Credi sia stato facile?
    Provaci, prova a superare quello che ho dovuto affrontare io.
    lentamente i giorni diventavano settimane, le settimane mesi ed i mesi stagioni, ed inesorabilmente scendevo nell'oblio, tutto perdeva significato nella vita.
    Alla fine ho compreso la più grande verità, io non ho mai realmente vissuto, io ho sempre sopravvissuto, forse può non sembrare grande la differenza, eppure c'è e quando la sperimenti ti accorgi di cosa vuol dire.
    Poi tutto cambiò quando arrivò lei, Naridia de Montrer, una nobile di basso rango del regno umano, ex promessa sposa del mio maestro, una bella donna, forse è stata la persona più vicina ad una madre che io abbia mai avuto. Fu lei a riprendermi, a trarmi in salvo dall'Abisso in cui io mi ero spinto, fu lei ad ospitarmi a casa sua, a rimettermi in sesto, a donarmi le armi che ho ora, la Santa e l'Eretica sono un suo dono. Nei mesi passati assieme mi accorsi sempre più che l'ammirazione stava cambiando, stava divenendo altro, che quella donna, quella nobile così diversa dalle altre donne,così avventurosa, così non convenzionale mi stava divenendo più cara di quanto un'amica potesse mai essere, nemmeno ora so dire cosa sia, qualcosa di diverso dell'amore, eppure così simile.
    Probabilmente posso tranquillamente dire che mi ero innamorato di lei, di una donna che mai mi avrebbe ricambiato, il suo cuore apparteneva al passato, al mio maestro, a quel'omo che aveva sacrificato se stesso per garantire la mia vita e quella di tanti innocenti, vite che io avevo fatto sprecare.
    Era passato quasi un'anno dalla morte del mercante, ormai la sete di vendetta stava tornando, mancava lui, colui che più odiavo, colui che volevo morto più di tutti, colui che volevo soffrisse le pene dell'Inferno, le stesse pene che ha inferto a me, mancava Rees.
    Fu Naridia ad aiutarmi, lei mi disse dove si trovava quel bastardo, e lei venne con me per prendere parte alla battaglia.
    Passarono giorni in marcia, ci addentrammo perfino nel territorio degli elfi, fino a cercare Rees, e quando lo trovammo era tutto diverso, quello schifoso aveva formato la sua banda, aveva attirato a se la peggiore feccia di tutta Eirydia.
    In due ci lanciammo all'attacco, due contro sei, sette se contavamo Rees. Ci batemo come due leoni, uccidendo tutti i banditi proprio all'ultimo mentre io impegnavo l'ultimo tagliagole Naridia si lanciò contro Rees impegnandolo in combattimento, io per schivare il maldestro affondo del mio avversario mi spostai al lato lasciando andare le spada dell'uomo verso la schiena di Naridia, permettendo a Rees di ucciderla con un colpo di spada alla gola.
    La donna che avevo amato mori per colpa mia, la rabbia si appropriò della mia mente, Rees scappò a cavallo, fuggendo lontano da me, dove non potevo raggiungerlo, e a me non rimase che piangere Naridia.
    Mi inginocchiai vicino a lei, poggiando il suo capo sulle mie gambe, il suo sguardo già quasi completamente oscurato dalla morte era fisso su di me, mi parlò, non vedeva me, vedeva Matthieu, l'uomo della sua vita, mi disse di dirle che l'amavo, lo feci.
    L'unica volta che dissi alla donna che amavo ciò che provavo per lei ero un'altro uomo, ormai l'unico ricordo che ho di lei è il sapore del suo ultimo bacio sulle labbra.
    Ancora oggi una croce di legno situata vicino ai boschi di Withirfield si fa testimone del luogo di sepoltura di Naridia.
    Tornai a Tenar inseguendo Rees, la rabbia che ribbolliva nel mio corpo, i muscoli che fremevano insensibili alla fatica ed al dolore, solo per vedermi accolto con le lance dalla guardie della città e Rees dietro di loro che rideva.
    Ero colpevole della morte di Naridia, Rees aveva raccontato tutto, non so a chi si sia rivolto per farsi credere in questo modo, non so cosa abbia fatto e chi abbia conosciuto per ottenere un'effetto del genere sulle guardie della capitale.
    So solo che sono scappato, sui tetti, inseguendolo, so solo che la mia lama l'ha raggiunto al collo e che il suo cadavere ora riposa sul fondo del fossato della città.
    Ed ora sono nuovamente in fuga, nuovamente pronto a combattere, contro chi? Contro chiunque sia giusto, se Naridia ha dato la sua vita per poter annientare un malvagio io non sono da meno, io non posso essere da meno.
    Un'anno è passato da quel giorno, da allora mi nascondo cercando di evitare i cacciatori di taglie, di recente sono sempre meno quelli che mi seguono, negli ultimi due mesi non ne ho visto neanche uno, so dove nascondermi, da tempo sento vociferare di una scuola...



    Stile di Combattimento

    Descrizione: In combattimento fa affidamento sulla forza e l'agilità decisamente sviluppate oltre alle sue abilità di arrampicata e parkour in cui è un maestro, sembra non esista un'arma convenzionale in cui non è esperto e che non sappia maneggiar. ha personalizzato il suo stile di combattimento rendendolo impareggiabile ed imparando a maneggiare ed usare nello stesso tempo armi da mischia ed a distanza, non è raro vederlo tendere imboscate ad avversari più numerosi di lui.
    Punti di forza: Caratteristiche fisiche sviluppate (velocità, forza, agilità, riflessi ecc), Intelligenza ed elevate capacità deduttive ed estrema resistenza al dolore.
    Punti di debolezza:Magia, combattimento a distanza, Son of a BWitch (vedi sotto)


    Son of a BWitch

    Figlio di una corrotta, un sangue sporco, putrido scorre nelle sue vene maledette, è figlio di una strega, di una donna che discende da un'antica stirpe di maghe maledette dalla natura, costrette a rubare la vita alla natura a nutrirsi della forza di altri esseri pur di sopravvivere come mero abominio, nulla più di parassiti, parassiti d'immensa forza ed incredibilmente tenaci a morire. Ma questo non è lui, non potrebbe esserlo neanche volendo, no, lui è nato maschio, non ne ha la possibilità, neanche volendo, e parlando francamente neanche la vuole.
    Certo ciò che lo aspetta è una morte lenta all'età di 30 anni, il corpo non regge più il peso della maledizione e lentamente, ma inesorabilmente si scioglie, la carne imputridisce sotto la pelle, i muscoli si atrofizzando, il dolore cresce, gli occhi si oscurano, è un processo, lento, schifoso ed incredibilmente doloroso che porta alla morte fino a che 3 mesi dopo che tutto inizia il cuore si ferma e si scioglie assieme alle ossa.
    La dea non vuole che rimanga nulla di corrotto su questa terra.
    Ma guardiamo il lato positivo...ah no aspetta non ci sta.

    dettagli sulle streghe

    In origine le streghe erano una congrega di maghe femmine appartenenti ad ogni terra, inizialmente per ricerca di conoscenza iniziarono a studiare gli spiriti e le manifestazioni spiritiche legate alla natura, ma in breve la sete di conoscenza divenne sete di potere, dimostrazione che anche la più nobile delle cause può essere contaminata.
    Le maghe tentarono di fare loro il potere naturale degli spiriti formulando un'incantesimo che estromettesse la dea della natura dalla gestione della natura, la dea logicamente andò su tutte le furie maledicendo le stolte maghe per il tentativo di furto.
    Furono quindi maledette, costrette per l'eternità a bramare il potere spirituale assuefatte a ciò che tanto avevano desiderato, i loro corpo superati i 30 anni d'età andava in disfacimento se non trovava una fonte d'energia con cui sostenersi.
    Le streghe divennero quindi predatrici di anime, cacciatrici di spiriti di cui divoravano l'essenza pur di protrarre all'infinito la loro vita, ma non era finita, la loro discendenza venne maledetta con assieme alle peccatrici.
    I figli e le figlie subirono la stessa pena.
    Il fato era però diverso a seconda del sesso del nascituro, solo le donne possono divenire streghe, perchè solo loro riescono ad avvertire il flusso d'energia che bramano per restare in vita, solo loro sono abbastanza sensibili da riuscire a tuffarsi nel mondo naturale abbastanza affondo da depredarlo, per gli uomini, che vengono abbandonati in fasce dalle madri streghe, si prospetta solo una vita infame ed una morte dolorosa e miserabile


    Tessera

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    1#pg:
    2#pg:
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    Edited by _Eden_ - 12/4/2013, 20:37
     
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    Fantastica. Semplicemente.
    Anche semplicemente inquietante, e mi sto chiedendo se debba mettere alcune cose sotto spoiler >.<
    Credo che metterò uno scroll per la storia altrimenti è davvero lunga.
    Mi piace molto come scrivi, però ti prego di non farlo in prima persona in role. Nella scheda diciamo che va bene, ma quando ruoli, ti prego non farlo >.<
    A breve ti passo l'intestazione :3

    CITAZIONE
    so che sono l'ultima persona in tutta Draconis ad avere il diritto di farlo

    Draconis? o.ò

    CITAZIONE
    Thenar

    Svista che ho trovato un paio di volte, ma non di grande rilevanza, tranquillo (: Si scrive Tenar.
     
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    Ok, a storia terminata posso dirti che va tutto bene e che sei pronto per ruolare ^^

    Questa è l'intestazione che userai in ogni post della tua role :3 Come puoi vedere hai per comodità anche un link veloce alla tua scheda solo cliccando sull'immagine.
    Ti ricordo che per ogni eventuale modifica, basta scrivere un post qui di seguito e un admin provvederà al più presto. Ti prego di non farlo da solo (:

    etiennerole_zpsbc1787dd
    Etienne;
    PROVA TESTO

    CODICE
    <div style="float: left; margin-right: 10px">[URL=?t=54139083][IMG]http://i357.photobucket.com/albums/oo20/Ariel_Sora/etiennerole_zpsbc1787dd.png[/IMG][/URL]</div><div align="right"><div style="font-family: Georgia; font-size: 26px; color: #A43700; line-height: 20px; border-bottom: 1px dashed #d78345"><i></i>Etienne;</div></div><div style=" line-height: 8px">[size=3][font=calibri]PROVA TESTO[/font][/size]</div>


    Edited by • Fyan • - 11/10/2015, 18:50
     
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  4. _Eden_
     
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    ok grazie mille, gentilissima.
     
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    Intestazione aggiornata al nuovo font ^^
     
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